Vincenzo Marano

 

 Acicastello provincia di Catania, 24 Agosto 1938 -  Roma   7 Marzo del 2016.

 

Frequenta l’Istituto d’Arte di Catania, in quegli anni di tutte le scuole d’arte il più ricco di artisti, allievi ed insegnanti Piero Guccione, Franco Piruca, Lazzaro, Ranno, Pippo Giuffrida. Nel 1957 si trasferisce a Roma, e frequenta l’Accademia di Belle Arti, inizia a collaborare con il quotidiano l’Unità, e conosce Renato Guttuso. Nel 1964, la sua prima personale a Bari. Sul finire degli anni 60 espone a Roma ed ancora a Bari; partecipa alla Quadriennale di Roma, e negli Stati Uniti alla mostra Print Show Young European Artist e a Bruxelles alla Contemporany Italian and Belgium. Nel 1969 fa ritorno in Sicilia, la spinta personale, in parte illusoria, verso una vita più autentica agisce sul suo divenire pittorico. Le sue tele e la sua casa si popolano di granchi, rane, tartarughe. Nel 1970, nasce così, la mostra romana alla Galleria Zanini. Alla fine degli anni ’70, prende spunto dalla storia dell’arte, ricavandone un serbatoio iconografico ed emotivo. Realizza due opere di grandi dimensioni, Gli Incolpevoli e La Caduta, esposti in Italia e in Francia, che rappresentano un punto d’arrivo. Inizia da qui una nuova fase di ricerca, come lo stesso artista scrive: "in quel particolare momento della mia vita di pittore, tutto preso dai dubbi, volli voltar pagina cercando un modo nuovo di fare pittura, che fosse più congeniale alle mie più profonde esigenze”. Sono anni in cui si fa strada la nuova corrente degli Anacronisti, pittori colti che si rivolgono al passato, rifiutando la ricerca pittorica dell’epoca, ma Marano, non si unisce alla corrente. Tra gli anni ’90 e prima anni 2000, riprende a dipingere tele di grandi dimensioni. In una recente intervista, così Marano sintetizza il suo percorso pittorico:

 

"Per anni, ho creduto che la pittura potesse cambiare il destino dell'uomo, influire sull'andamento della società, denunciandone gli errori e contribuendo a renderla migliore. La pittura come atto di accusa ha avuto una parte importante nella mia produzione, una pittura esaltata dagli acrilici, dai bianchi e neri. Ma quando volevo prendermi una vacanza dall'impegno, mi rivolgevo agli amati Ingres e Leger collocandoli in contesti inusuali per poi tornare ad una pittura impoverita dall'acrilico, come i personaggi che rappresentavo. Poi un giorno il colore, l'olio, la tempera, prendono il sopravvento, il quadro non è più un documento o un atto di accusa ma un intrattenimento per l'anima. Il desiderio di cambiare il mondo si tramuta dentro di me nell'avventura di un viaggio attraverso i canoni del mito e della favola, il mio personale percorso verso la soggettività della rappresentazione".