MARIO DISERTORI
Trento 1895 – Padova 1980
Studia all’Accademia di Firenze e Venezia fino al 1971 insegnante all’Istituto d’arte di Venezia. Nel decennio degli anni venti (di ritorno dalla guerra) si trasferisce a Padova dove abiterà in Via delle Palme al 2 (spesso citata nelle etichette dietro ai suoi quadri), ha partecipato alle Biennali di Venezia del 1930 dove espose il dipinto “Nelle prealpi veronesi”, alla mostra dei quarantanni della biennale del 1935 dove espose il dipinto “Fine d’inverno” e del 1936, ha esposto a Ca’ Pesaro nel 1913, 1923, 1924, 1925, 1927, 1930, 1937, 1938, 1940, partecipando al rinnovamento Artistico portato nella regione dall’avanguardia della Bevilacqua La Masa, alla quadriennale di Roma del 1935 con i dipinti “Stradina a Forte dei Marmi” e “Capanni sul mare”, del 1939 col dipinto “Uliveto, alla Sindacale Nazionale di Napoli del 1937 e nello stesso anno alla “Mostra d’arte italiana a Varsavia col dipinto” Nel Veronese”. Innamorato della Toscana era usuale frequentare quello che aveva eletto a “Buen Retiro” cioè una casa sul mare a Fiascherino posto da cui si spostava per andare a dipingere in Liguria e all’interno della Toscana (a Montepulciano e Siena per esempio) seguendo la sua principale passione che era quella ritrarre la natura “en plain aire”, il dolce paesaggio toscano di cui sapeva interpretare magistralmente i colori, degli ulivi, delle colline, della terra arata di fresco, ma anche vedute del Lago di Garda, di Verona, e della costa veneta. Passione che coltivava anche quando dalla sua casa di Padova aspettava una giornata di sole per prendere la bicicletta con la scatola dei colori sulle spalle e spostarsi a ritrarre angoli nascosti dei colli Euganei, magari sì con il paese sullo sfondo, ma visti quasi sempre da luoghi appartati, lontano dal tramestio e dalla confusione delle faccende quotidiane altrui e dagli eventi drammatici e apocalittici del secolo che lo videro arruolarsi volontario nell’esercito durante la prima guerra mondiale, guerra nella quale fu ferito al polso e contrasse una malattia reumatica oltre ad una menomazione uditiva all’orecchio destro dovuta probabilmente allo scoppio di una granata, per questo fu poi trasferito a Firenze nelle retrovie a curarsi. Promosso tenente nella prima guerra fu richiamato nella seconda col grado di comandante delle tradotte militari che andavano da Mestre ad Atene; spesse volte durante il tragitto del treno ci furono scontri a fuoco ma fortunatamente non fu ferito. Restò diciotto mesi a servizio nella seconda guerra e ne usci col grado di tenente colonnello per meriti di guerra. Nel 1909 conosce a Trento il pittore Umberto Moggioli che realizza il ritratto della sorella, Disertori fu estasiato a seguire tutte le pennellate con cui il maestro dava forma, colore e vita al ritratto . Nel 1912 a Venezia per seguire il corso di pittura All’Accademia delle Belle Arti. Passerà ore nello studio di Moggioli dove si rifugiava appena poteva per seguirne rigorosamente l’opera perdendo anche ore di scuola rapito davanti ai suoi “Bragozzi”, piroscafi e campielli. La Toscana, avrà un ruolo importante nella vita di Disertori prima come studente, come fante convalescente durante la guerra, come luogo dove conobbe la moglie (che era nata ad Arezzo e viveva a Firenze) ed infine come luogo eletto di villeggiatura e fonte di ispirazione pittorica. All’inizio e fino agli anni ’30 circa fu eccellente ritrattista per rivolgersi subito dopo a quello che sarà per lui il tema dominante della sua pittura: “il paesaggio”: Di questi primi anni ci restano di lui dipinti che ci descrivono una Italia nel periodo precedente la prima guerra mondiale con spiagge disabitate, una intensità di luce rara della laguna e marine con quei colori pastosi, i viola i verdi argentati e gialli ocra. La sua tavolozza dei colori subirà nel tempo dei mutamenti trasformandosi da opachi e pastosi a lucidi e brillanti sintomo di una trasformazione da una pittura intimista ad una più matura e solare. Poi il buio della guerra, al ritorno dalla quale si diploma all’Accademia di Firenze. Nel 1922 si trasferisce a Padova dove insegna alla Scuola d’Arte Pietro Selvatico. Classificato via via come manierista (Carlo Munari), impressionista (Guido Perocco) o post-impressionista veneto, Disertori ha in realtà un percorso individuale fatto di convinzioni morali e di fede a cui resta coerente e si inserisce con diritto nei paesaggisti della tradizione veneta. Finiva poi spesso i suoi dipinti nel suo studio all’ultimo piano in Via Vescovado, una specie di soffitta con due enormi finestroni piena di luce, dove a tutt’oggi 16 dicembre 2014 al n°71, un po’ prima del cosiddetto palazzo degli specchi, c’è ancora, in un vecchio stabile all’apparenza disabitato, il suo cognome sul campanello. Fu anche valente incisore all’acquaforte dice di lui un ex impiegato delle poste che fu suo allievo: “Un omone magro alto un metro e Ottantatré…dal carattere schivo si sarebbe ricomprato le sue vecchie opere e quando gli chiedevi qualche consiglio su come fare un colore o una sfumatura o un segreto del mestiere rispondeva, poco incline al farsi copiare. Dal 1953 al 1955 accettò di dirigere, in un locale della Libreria Draghi Randi di Padova, una piccola ed elegante galleria fondata da lui stesso ed Alberto Carrain: “La Chiocciola”. Situata al primo piano della stessa libreria vi si accedeva attraverso una scala a chiocciola da cui il nome. Per le mostre d’arte dei più interessanti pittori non solo padovani che vi furono presentate ebbe una discreta risonanza anche lontano dalle mura cittadine. Le intenzioni Disertori erano di far conoscere, ai padovani, le espressioni più audaci dell’arte -allora- contemporanea. La prima mostra si tenne l’11 febbraio 1952 e vi espose Fiorenzo Tomea e sul Libro delle firme delle persone che presenziarono all’apertura della “Chiocciola” gelosamente custodito dal Signor Randi figurano nomi come Diego Valeri, Giuseppe Fiocco, successivamente vi esposero pittori come Carlo dalla Zorza, Zigaina, Neri Pozza, Virgilio Guidi, Antonio Fasan, Pio Semeghini, Felice Carena, Amleto Sartori, Fulvio Pendini, De Poli, Tono Zancanaro, Nino Springolo di ritorno da Parigi, Nino Maccari, Arnaldo Pomodoro, Emilio Greco, Lorenzo Viani (postuma), Luigi Zuccheri. E la visitarono a varie riprese personaggi del calibro di Riccardo Bacchelli, Manara Valgimigli e Pegghi Gaugenhaim che portava con se critici e pittori stranieri che volentieri venivano a vedere questa innovativa galleria Padovana. Successivamente la galleria si spostò dietro la libreria dall’altro lato di Galleria S. Lucia, diretta dalla signora Galletto-Valeri (figlia di Diego Valeri) e dalla signora Leoni. Ci fu una amicizia particolare con la famiglia di Carlo Dalla Zorza che era suo collega di insegnamento, anche per il buon rapporto nato tra Teresa Sensi scrittrice e moglie di Dalla Zorza e la moglie di Disertori. Dalla Zorza insegnava disegno e Disertori pittura all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico e amavano andare insieme sui colli a ritrarre lo stesso paesaggio ognuno alla sua maniera. E quei paesaggi con i filari di viti ed i pali che li sorreggono assomigliano per lo più alle righe di uno spartito musicale con quei tiranti di legno a capofila dipinti in diagonale a fare da contrappunto o da chiave in una pittura armonica nella quale ogni dipinto ha i suoi colori dominanti e di stagione. Uomo con una forte autostima non poteva sopportare che i suoi quadri venissero messi in vendita da corniciai o peggio da un giornalaio (anche se con licenza di vendere libri e quadri) come succedeva a Padova in quegli anni; i suoi dipinti dovevano essere messi in vendita solamente nelle gallerie d’arte. Ed entrava a spiegarsi con i corniciai o con il giornalaio cercando di fare intendere le proprie ragioni, ricevendo risposte del tipo: “Io qui sono in regola con le licenze e vendo quello che voglio”. Ma in tempi in cui la situazione economica non era delle migliori- eravamo nel dopoguerra ed era dura per tutti, figuriamoci per un pittore- quando andava a farsi incorniciare qualche dipinto ed alla richiesta del conto si sentiva dire : “Mi dia uno dei suoi quadri in cambio” spesso accettava dandogli magari una di quelle opere che considerava minori. Ebbe parecchie commissioni dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, che conserva di lui diverse opere. Faceva fatica a staccarsi dai suoi dipinti soprattutto da quelle opere che più sentiva riuscite. Si ricorda di lui la frase che spesso diceva nel suo studio di Via Vescovado. No, …questo no non lo vendo…e cercava di rimetterlo dietro la fila di quadri impilati appoggiati al muro. Appoggiati al muro nel suo studio c’erano in linea di massima tre file di quadri: Per i galleristi, per i privati, per le mostre importanti. Morì, amorevolmente assistito, all’Ospedale di Padova all’età di 84 anni per una malattia polmonare. Nonostante la sofferenza causatagli dalla malattia, negli ultimi giorni di vita continuava con matite e pastelli a disegnare quello che vedeva dalla finestra dell’ospedale perché non riusciva a stare senza disegnare.