Il Cinema Italiano
Il cinema Italiano, intraprende la propria attività tre mesi dopo la prima proiezione pubblica, avvenuta nel sottosuolo di un caffè sul boulevard des Capucines, a Parigi, il 28 dicembre 1895, data da cui si fa tradizionalmente risalire l'inizio della storia del cinema. Nel corso del 1896 l'invenzione del Cinematografo dilaga in tutta la Francia e in maniera crescente nel resto d'Europa. Il primo proiettore viene portato in Italia dagli operatori Auguste e Louis Lumière, e precisamente a Roma, il 12 marzo 1896. Non molto tempo dopo vengono effettuate altre proiezioni nella città di Napoli e Milano, nel mese di maggio a Genova e alla fine di agosto nei teatri di Venezia e Bologna. A partire dallo sviluppo della settima arte, avvenuto nei primi anni del Novecento, il cinema italiano ha riscontrato periodi di grande successo, influenzando svariati movimenti cinematografici in tutto il mondo. Nel corso del tempo, molti lungometraggi italiani si sono aggiudicati premi riconoscimenti di ampio prestigio: a tutt'oggi si registrano 14 Oscar al miglior film in lingua straniera (più di qualsiasi altro paese), 12 Palme d'oro al Festival di Cannes e 11 Leoni d'Oro al Festival del cinema di Venezia.
1896 – 1909
I Primi documentari
Si fa risalire la nascita del cinema italiano alla prima proiezione pubblica dei fratelli Lumière, avvenuta il 13 marzo 1896 presso lo studio fotografico Le Lieure di Roma.
Nel giro di pochi giorni lo spettacolo arriverà in tutte le principali città del paese. Quelli successivi si svilupperanno nei più importanti teatri cittadini, quasi sempre proiettati al termine di una commedia o di un concerto. I primi film prodotti in Italia sono documentari della durata di pochi secondi dedicati a regnanti, imperatori, papi e a vedute di alcune città. Il primo operatore di rilevanza storica è Vittorio Calcina, autore di cortometraggi sia in forma documentaristica che a soggetto.Tra le sue “vedute” più celebri va ricordata la ripresa della visita a Monza di Re Umberto I e della regina Margherita di Savoia, girata su commissione per conto dei fratelli Lumière. Suo è anche il più antico documentario italiano tuttora visibile, Sua Santità Papa Leone XIII (1896 ), una breve inquadratura di papa Leone XII nei Giardini Vaticani. In poco tempo altri pionieri si fanno strada. A mettersi in luce è il regista e inventore Filoteo Alberini, che perfeziona un apparecchio di ripresa non dissimile da quello dei Lumière. Sono attivi anche Italo Pacchioni,Robero Omengna,Arturo Ambrosio, Giuseppe Filippo e Giovanni Vitrotti.
Il successo di questi “quadri in movimento” è immediato. Il cinematografo affascina per la sua capacità di mostrare con inedita precisione realtà geografiche lontane e, viceversa, di immortalare momenti quotidiani senza storia. Vengono ripresi eventi sportivi, avvenimenti sociali, traffici stradali, l'arrivo di un treno, visite di personaggi famosi, ma anche disastri e calamità naturali. Se la risposta delle classi popolari è entusiasta, la novità tecnologica sarà trattata con riserva dalla stampa e da un parte del mondo intellettuale. Nonostante le iniziali differenze, nell'arco di due anni il cinema scala le gerarchie della società incuriosendo le classi più abbienti. Il 28 gennaio 1897 i principi Vittorio Emanuele e Elena Montenegro assistono a una proiezione organizzata da Vittorio Calcina, in una sala di Palazzo Pitti a Firenze. Decisi a sperimentare il nuovo mezzo, si lasceranno riprendere in Il Principe di Napoli e la Principessa Elena mentre visitano il Battistero di S. Giovanni a Firenze e il giorno del loro matrimonio in Dimostrazione popolare. I principi sposi al Pantheon Roma .
Nascita dell'industria Cinematografica
Nei primi anni del XX secolo si sviluppa in tutta Italia il Fenomeno dei cinema ambulanti che provvedono all'alfabetizzazione del mezzo visivo. Il cinema italiano resta ancora legato ai tradizionali spettacoli della commedia dell'arte o a quelli propri del folclore circense.
Le proiezioni pubbliche avvengono nei caffè o nei teatri di varietà alla presenza di un imbonitore che ha il compito di promuovere e arricchire la storia. Tra il 1903 e il 1909 il cinema è considerato un fenomeno da baraccone. Centinaia di case di produzione nascono in tutto il paese: Cines, Milano Film, Itala Film, Caesar Film, Società Anonima Ambrosio, Partenope Film, Pasquali Film, Roma Film, e innumerevoli altre sigle, destinate a durare il tempo della lavorazione di un film. Contemporaneamente si organizza nei centri urbani una rete sempre più capillare di sale cinematografiche (Il Cinema Lumière di Pisa inizia le proiezioni già nel 1899). Questa trasformazione porta alla produzione dei film a soggetto, che per gran parte del periodo muto affiancano il documentario fino a sostituirlo quasi completamente all'inizio della Prima Guerra Mondiale. La scoperta delle potenzialità spettacolari del mezzo cinematografico favorisce lo sviluppo di un cinema di grandi ambizioni, capace di inglobare tutte le suggestioni culturali e storiche del paese.
La formazione scolastica è fonte inesauribile di idee e spunti facilmente assimilabili dal pubblico popolare. Decine di personaggi incontrati sui libri di testo fanno il loro esordio sul grande schermo: Il conte di Montecristo, Giordano Bruno, Giuditta e Oloferne, Francesca da Rimini, Lorenzo de' Medici,Rigoletto,Il Conte Ugolino. Nel 1905 la Cines inaugura il genere del film storico, che negli anni darà larga fortuna a molti cineasti italiani. Il primo film a soggetto, recante il titolo La presa di Roma (1905), di Filoteo Alberini, è una vigorosa ricostruzione storica della Breccia di Porta Pia.
1910 – 1919
Nel 1912 anno della massima espansione, vengono prodotti a Torino 569 Film, a Roma 420 e a Milano 120.Nei tre anni che precedono la Prima Guerra Mondiale la produzione si consolida, vengono esportati in tutto il mondo film mitologici, comici e drammatici. Nasce il fenomeno del divismo che per alcuni anni conoscerà un successo senza precedenti. Con la fine del decennio Roma si impone definitivamente come principale centro produttivo; tale resterà, nonostante le crisi che periodicamente scuoteranno l'industria, fino ai nostri giorni. Nel momento di massimo sviluppo, il genere storico prende il suo carattere pedagogico e illustrativo a favore di quello più spettacolare. I Kolossal dell'Italia Giolittiana che celebra sul grande schermo avvenimenti dell'antichità, con aspirazioni proprie di una potenza internazionale. Prima ancora dell'evento del fascismo, questi film rievocano i trionfi degli antichi imperi romani, di cui si rivendica con orgoglio la discendenza culturale. La conquista della Libia segna l'avvicinamento definitivo tra il sostrato nazionalista di questi film e la politica imperialista. L'archetipo del filone è il Nerone (1909) di Luigi Maggi e Arrigo Frusta, la pellicola si ispira all'opera di Pietro Cossa che si rifà iconograficamente alle acqueforti di Bortolomeo Pinelli, al neoclassicismo e allo spettacolo Nero or the Destruction of Rome, rappresentato dal Circo Barnum. Seguono Marin Faliero,doge di Venezia (1909) di Giuseppe De Liguoro, Otello (1909) di Yambo e Odissea (1911) di Bertolini, Padovan e De Liguoro. L'inferno (1911) un adattamento della cantina dantesca, è una traduzione cinematografica delle incisioni di Gustave Dorè che sperimenta l'integrazione tra effetti ottici e azioni scenica, mentre Gli ultimi giorni di Pompei (1913) di Mario Caserini ricorre a innovativi effetti speciali. Il primo regista a sfruttare pienamente questo enorme apparato spettacolare è Enrico Guazzoni già pittore e scenografo. Nel suo Quo Vadis? (1912) i personaggi e lo spazio scenico creano rapporti finora inediti, esaltando la dialettica tra individuo e massa che sarà al centro dei futuri film storici. La storia rimane sullo sfondo, mentre in primo piano si agitano drammi personali derivanti dal melodramma. Il successo internazionale del film segna la maturazione del genere e permette a Guazzoni di realizzare film sempre più spettacolari, come Cajus Julius Caesar (1913), e Marcatonio e Cleopatra (1913).
Dopo Guazzoni vengono Emilio Ghione, Febo Mari, Carmine Gallone, Giulio Antamoro e tanti altri che contribuirono all'espansione del genere. Giovanni Pastrone è il regista più interessato alla ricerca di soluzioni scenografiche inedite. Già in La caduta di Troia ( 1911 ) sperimenta originali costruzioni prospettiche, ma è il celebre Cabiria (1914) che la sua filmografia e l'intero genere raggiungono l'apice. Concepito come un autentico film – evento (anche grazie alla collaborazione di Gabriele D'Annunzio), il film colpisce il pubblico per la sua ambizione: le innovazioni tecniche (tra cui l'uso dei carrelli e del primo piano),la complessità della trama, l'uso espressivo del trucco, dell'illuminazione e l'opulenza scenografica contribuiscono alla sua fama di oggetto d'arte, capace di superare i limiti del mezzo cinematografico. Negli anni a venire, pellicole come Intollerance (1916) di David W. Giffith o Metropolis (1927) di Fritz Lang saranno debitrici del film di Pastrone. Dopo il grande successo di Cabiria, con il mutare dei gusti del pubblico e le prime avvisaglie della crisi industriale, il genere comincia a mostrare segni di stanchezza. Il progetto di Pastrone di adattare la Bibbia con migliaia di comparse resta irrealizzato. Il Christus (1916) di Antamoro e La Gerusalemme Liberata (1918) di Guazzoni restano notevoli per la complessità iconografica ma non offrono novità sostanziali. Nonostante sporadici tentativi di riallacciarsi al grandeur del passato, il filone dei Kolossal storici si esaurisce all'inizio degli venti.
Le dive
Tra il 1913 e il 1920 si assiste all'ascesa, allo sviluppo e al declino del fenomeno del divismo cinematografico, nato con l'uscita di Ma l'amor mio non muore (1931) di Mario Caserini. Il film ha un successo di pubblico enorme e codifica l'impostazione e l'estetica del divismo femminile. La recitazione di Lyda Borelli esercita una grandissima influenza per tutto il decennio e contribuisce a rinnovare l'immaginario romantico con influenze melodrammatiche, decadenti e simbolistiche. Francesca Bertini dopo Lyda Borelli, la seconda grande diva del cinema italiano. Dotata di una maggiore versatilità rispetto alla dive contemporanee, passa alla commedia al dramma passionale ricoprendo vari ruoli sociali e comunicando con efficacia un'ampia gamma di sentimenti. In Assunta Spina (1915) di Gustavo Serena si allontana dalle influenze liberty per avvicinarsi a una recitazione più naturalistica che ne favorisce la forza espressiva. Nel giro di pochi anni si affermano anche Eleonora Duse, Pina Menichelli, Rina De Liguoro, Leda Gys,Vittoria Lepanto e Italia Almirante Manzini. Film come Fior di Male (1914), di Carmine Gallone, il Fuoco (1915), di Giovanni Pastrone, Rapsodia satanica (1917) di Nino Oxilia e Cenere (1917) di Febo Mari arrivano a modificare il costume nazionale, imponendo canoni di bellezza, modelli di comportamento e oggetti del desiderio. Questi modelli, fortemente stilizzati secondo le tendenze culturali e artistiche dell'epoca, si allontanano dal naturalismo a favore della recitazione melodrammatica, del gesto pittorico e della posa teatrale. Nonostante la diversità delle interpreti dei film, il modello femminile che emerge dal cinema di questo periodo è sostanzialmente riconducibile al modello melodrammatico, anche se contaminato dal decadentismo d'annunziano e dalle teorie di Lombroso : “ora innocenti e pure, ora deliranti e in preda al dèreglement de tous les sens” ora madri dolcissime a cui viene negata la maternità, ora donne capaci di amare oltre la stessa morte. Soltanto negli anni venti, con la crisi produttiva e il tramonto delle dive, sarà possibile l'emergere di una figura femminile più realistica, priva dell'aura divina e più accessibile allo spettatore. Nonostante il successo nel primo decennio del secolo, le comiche mute non sono mai diventate un genere di rilievo per il cinema italiano. Il tratto rilevante di questa produzione, che conta centinaia di film (quasi tutti cortometraggi), è la capacità di assimilare varie forme di spettacolo popolare, dal teatro di piazza al vaudeville. Costruiti attorno a esili trame o semplici spunti umoristici portanti alle estreme conseguenze, questi brevi film fungono da semplice accompagnamento a pellicole più ambiziose. Il comico di maggior successo in Italia è Andrè Deed, più noto come Cretinetti, protagonista di innumerevoli corti per Itala Film. Il suo successo apre la strada di Marcel Fabre, Ernesto Vaser e tanti altri. L'unico attore di una certa sostanza è Ferdinand Guillaume, che diventerà celebre come Polidor. L'interesse storico di questi film sta nella loro capacità di rilevare le aspirazioni e le paure di una società piccolo borghese divisa tra il desiderio di affermazione e le incertezze del presente. E' significativo che i protagonisti delle comiche italiane non si pongano mai in aperto contrasto con la società né incarnino desideri di rivalsa sociale (come accade per esempio con Chaplin), ma cerchino piuttosto di integrarsi in un mondo fortemente desiderato.
Cinema Futurista
Anche se in modo marginale, l'avanguardia futurista ha effetti sul cinema del periodo e sopratutto ne è influenzata. Con il suo interesse per la rapidità e la violenza espressiva, il futurismo trova nel cinema un'arte giovane, meno compromessa con la retorica passatista e sopratutto aperta ai futuri sviluppi tecnologici. Nel Manifesto della cinematografia futurista di Filippo Tommaso Marinetti, Bruno Corra, Emilio Settimelli, Arnaldo Ginna e Giacomo Balla descrivono il cinema come l'arte capace di sintetizzare tutte le tendenze sperimentali dell'epoca. Così facendo rivendicano l'uso di drammi di oggetti, sinfonie di linee e colori e giochi delle proporzioni per superare i limiti del naturalismo ottocentesco.
Il cinema che auspicano è deformatore, impressionista, sintetico, dinamico. Al di là della dichiarazione d'intenti, il futurismo non riuscirà a far proprio il nuovo mezzo di espressione, né sarà in grado di lasciare un segno duraturo nella sua evoluzione. L'influenza opera piuttosto in senso contrario: sarà il cinema a condizionare la produzione artistica del movimento, con il montaggio dei materiali più disparati, i primi piani,dettagli, il taglio eccentrico delle immagini, l'uso di didascalie, stacchi e dissolvenze. I film riconducibili al movimento sono pochissimi. Oltre a quelli astratti dipinti su pellicola da Bruno Corra e Arnaldo Ginna, andati perduti, le opere più significative sono soltanto due:
Vita futurista (1916), di Arnaldo Ginna, una sorta di verifica pratica delle tesi esposte nel Manifesto: ironico e intenzionale provocatorio, il film ricorre a numerosi effetti speciali (parti colorate a mano,viraggi, inquadrature,eccentriche, per stimolare le reazioni emotive dello spettatore. Thais di Anton Giulio Bragaglia, la pellicola, costruita attorno a una vicenda melodrammatica e decadente, rivela in realtà molteplici influenze artistiche diverse dal futurismo marinettiano; le scenografie secessioniste, l'arredamento liberty,e i momenti astratti e surreali contribuiscono a creare un forte sincretismo formale. Nello stesso periodo Bragaglia realizza altre opere come Perfido Incanto, il mio cadavere e il cortometraggio Dramma nell'Olimpo, tutte andate perdute.
La grande crisi e l'arrivo del sonoro (1920 – 1930)
Con la fine della Grande Guerra il cinema italiano attraversa un periodo di crisi dovuto molti fattori: disorganizzazione produttiva, aumento dei costi, arretratezza tecnologica perdita dei mercati esteri e incapacità di far fronte alla concorrenza internazionale,in particolare quella hollywoodiana. Tra le cause principali va segnalata la mancanza di un ricambio generazionale con una produzione ancora dominata da autori e produttori di formazione letteraria e teatrale, incapaci di far fronte alle sfide della modernità. La prima metà degli anni venti segna un netto riflusso produttivo: dai 350 film prodotti nel 1921 si passa ai 60 del 1924. Letteratura e teatro sono ancora le fonti narrative privilegiate. Resistono i drammi professionali, perlopiù ripresi dai testi classici o popolari e diretti da specialisti come Roberto Roberti, di Giulio Antamoro. Sulla scorta dell'ultima generazione di dive, si diffonde un cinema sentimentale al femminile, incentrato su figure ai margini della società che,invece di lottare per emanciparsi (come accade nel cinema hollywoodiano), attraversano un autentico calvario allo scopo di preservare la propria virtù.
E' un cinema fortemente conservatore, legato a regole sociali sconvolte dalla guerra e in via di dissoluzione in tutta Europa. Un caso esemplare è quello di La storia di una donna (1920) di Eugenio Perego, che usa una costruzione narrativa originale per proporre con toni melodrammatici una morale ottocentesca. Un filone particolare è quello di ambientazione napoletana, grazie all'opera della prima regista donna del cinema italiano, Elvira Notari, che dirige numerosi film influenzati dal teatro popolare e tratti da famose sceneggiate, canzoni napoletane, romanzi, d'appendice oppure ispirati a fatti di cronaca. In realtà la produzione italiana di questo periodo è marginale e il mercato è dominato dai film Hollywoodani. L'unico produttore capace di adeguarsi alla situazione è Stefano Pittalunga, destinato a esercitare un controllo quasi assoluto sui film italiani fino agli anni trenta. Tra i registi in grado di misurarsi con le produzioni europee troviamo Lucio D'Ambra, Carmine Gallone e sopratutto Agusto Genina. Realizzatore attento ai gusti del pubblico, Genina si dedica con facilità alla commedia brillante, ai melodrammi e ai film d'avventura, ottenendo spesso grandi successi al botteghino. Per tutti gli anni trenta sarà uno dei registi di punta del cinema fascista, si dovrà attendere la fine del decennio per trovare pellicole di maggior respiro. In questo periodo un gruppo di intellettuali vicini alla rivista Cinematografo e guidati da Alessandro Blasetti lancia un programma semplice quanto ambizioso. Consapevoli dell'arretratezza culturale italiana, decidono di rompere ogni legame con la tradizione precedente attraverso una riscoperta del mondo contadino, fino al allora praticamente assente nel cinema italiano.
Sole (1929) di Alessandro Blasetti mostra l'evidente influenza delle avanguardie sovietiche e tedesche nel tentativo di rinnovare la cinematografia italiana in accordo con gli interessi del regime fascista. Rotaie (1930) di Mario Camerini fonde il genere tradizionale della commedia con il Kammerspiel e il film realista, rilevando l'abilità del regista nel tratteggiare i caratteri della media borghesia. Pur non essendo paragonabili ai risultati più alti del cinema internazionale del periodo, i lavori di Alessandro Blassetti e Mario Camerini testimoniano un avvenuto passaggio generazionale tra i registi e gli intellettuali italiani, e soprattutto un'emancipazione dai modelli letterari e un avvicinamento ai gusti del pubblico. Una volta riorganizzata l'industria, i frutti di questa rinascita saranno presto messi al servizio del regime fascista. Lo scetticismo iniziale nei confronti del cinema sonoro coinvolge produttori e cineasti di molti paesi, contrari fin da subito a cimentarsi con la nuova invenzione. Tale ideazione stravolge le regole della grammatica cinematografica ed è vista come una minaccia per la distribuzione internazionale. Il sonoro arriva in Italia nel 1930, tre anni dopo l'uscita del il cantate di Jazz (1927), e porta immediatamente a un dibattito sulla validità del cinema parlato e i suoi rapporti con il teatro. Alcuni registi affrontano con entusiasmo la nuova sfida. Il primo film sonoro italiano è La canzone dell'amore (1930) di Gennaro Righelli, che risulta essere un grande successo di pubblico. Anche Alessandro Blasetti sperimenta l'uso del sonoro in Resurrectio (1930), girato prima della Canzone dell'amore ma distribuito alcuni mesi dopo. Simile al film di Righelli è Gli uomini, che mascalzoni... 1932 di Mario Camerini,che ha il merito di far debuttare sugli schermi Vittorio De Sica. Con il passaggio al sonoro la maggior parte degli attori italiani del cinema muto, ancora legati alla stilizzazione teatrale, si ritrova squalificata. L'epoca delle dive e dei forzuti, sopravvissuti a stento agli anni venti, è definitivamente conclusa. Anche se alcuni interpreti passeranno alla regia o alla produzione, l'arrivo del sonoro favorisce il ricambio generazionale già in atto e la modernizzazione delle strutture.
Il Cinema fascista ( 1922 – 1945 )
Consapevole dell'importanza del cinema nella gestione del consenso sociale, il regime fascista si preoccupa fin da subito di rilanciare una cinematografia in declino. Nel 1924 viene fondata l'Unione Cinematografica Educativa Luce, una società di produzione e distribuzione a controllo statale. Nello stesso periodo viene istituito il Ministero della Cultura Popolare che, attraverso considerevoli contribuiti a fondo perduto (regolari dalla legge 918 del 1931),finanza direttamente l'industria dello spettacolo. Tra i maggior beneficiari c'è la casa di produzione Cines – Pittalunga, che nel 1925 costruisce nuovi teatri di posa alle porte di Roma. Nonostante l'aumento degli investimento derivato da questa politica di regista, l'arretratezza tecnologica e culturale condanna alla marginalità l'ultimo periodo del cinema muto. Nel primo anno di vita della Cines saranno prodotti in Italia soltanto 12 film, contro i 350 importanti dall'estero. Entro la fine del decennio, il regime diventa principale finanziatore dell'industria cinematografica. Da questo momento fino allo scoppio della guerra, la crescita della produzione si manterrà costante. Nel 1934 è istituita la Direzione generale per la Cinematografia guidata da Luigi Freddi, che di fatto controllerà la produzione di film italiani e esteri (non senza appositi monitoraggi e tagli censura) fino alla caduta del regime. Lo stesso anno viene creata la Corporazione dello spettacolo, dove trovano posto tutti i principali produttori e distributori del paese. In questo periodo,oltre alla Cines, nascono altre società di produzione, tra cui la Lux Film,specializzata in adattamenti letterari e film religiosi, e la Novella Film di Angelo Rizzoli. Tra i produttori più attivi vanno ricordati Gustavo Lombardo (presidente della Titanus), Giovacchino Forzano, e i fratelli Scalera. Tutti i produttori e i distributori ricevono fondi dallo Stato, che si dota anche di una propria catena di sale, l'Enic. Nel 1935 viene istituito il Centro Sperimentale di Cinematografia, destinato a imporsi come il principale luogo di formazione professionale del cinema italiano. Nello stesso anno gli stabilimenti della Cines vengono distrutti da in incendio. Sulle ceneri del vecchio sito industriale sorge nel 1937 Cinecittà, uno dei complessi produttivi più grandi d'Europa inaugurato in aperta sfida agli studios di Hollywood. Nel 1940 gli stabilimenti vengono statalizzati e bene presto diventano il cuore produttivo dell'industria cinematografica, portando metà della produzione a girare nei suoi teatri di posa. Da quel momento Roma diventa la capitale indiscussa del cinema italiano, con Cinecittà e il Centro Sperimentale destinati a esercitare per circa mezzo secolo un dominio incontrastato nella formazione delle competenze e nella produzione. Fino alla fine del 1938 fascista non si oppone all'importazione di film stranieri (basti pensare che il 73% degli incassi di quell'anno vanno ai film hollywoodiani), ma con il rafforzamento produttivo e il sempre maggiore ruolo dello Stato nella produzione vengono adottate misure protezionistiche volte a limitare le importazioni. La legge Alfieri del 6 giugno 1938 blocca la circolazione di film stranieri, dando impulso alla produzione nazionale. Nel 1939 si realizzano 50 film, che diventeranno 119 nel 1942; contemporaneamente la quota di mercato nazionale dei film italiani passa dal 13 % al 50 %. Nemmeno la guerra è capace di arrestare questo di euforia produttiva, che durerà fino al 1943. Fino al momento del suo crollo, il regime imporrà senza opposizioni un cinema strutturato in generi codificati. Il cinema del fascismo non sarà il veicolo privilegiato della propaganda (un compito svolto molto più persuasivamente dai Cinegiornali Luce), ma contribuirà a formare l'idea di società che il fascismo vuole imporre: una società pacificata, priva di conflitti interni,capace di slanci produttivi ma non toccata dai mali dalle modernità. A questo intento celebrativo contribuisce anche una nuova generazione di attori, in gran parte provenienti dal teatro. Vittorio De Sica incarna una virilità comune e per questo capace di catturare le attenzioni del pubblico; al suo fianco recitano Assia Noris, Isa Paola, Gino Cervi, Gianfranco Giachetti,Carlo Ninchi, Roldano Lupi, Rossano Brazzi, Elio Steiner e Isa Miranda. Tutti questi fattori rappresentano un felice tentativo di riportare in auge un divinismo di statura internazionale. Durante gli anni trenta e quaranta, allo stesso modo, interpreti come Amedeo Nazzari, Fosco Giachetti, Massimo Girotti, Leonardo Cortese e Raf Vallone continueranno a incarnare la virilità italiana, divisa tra orgoglio nazionale e avvicinamenti progressivi alla realtà;così come Antonio Centa, Osvaldo Valenti, Massimo Serato e Guido Celano.Dal lato femminile Alida Valli, Dria Paola, Clara Calamai, Doris Duranti, Dina Sassuoli,Valentina Cortese, Luisa Ferida, Marina Berti, e Elsa De Giorgi portano sulla schermo una bellezza femminile comune lontana dal fascino stilizzato delle dive del muto.Nello stesso periodo fa il suo esordio una giovane Anna Magnani. Lontana da qualsiasi forma di divismo, diverrà a partire dal dopoguerra, una delle interpreti più significative di tutto il cinema italiano. Un discorso a parte meritano alcuni fattori provenienti dal varietà e capaci di portare al cinema fortunate maschere comiche: è il caso di Totò, Ettore Petrolini, Gilberto Govi, i fratelli De Filippo, Aldo Fabrizi, Macario.
Film di propaganda
Le rappresentazioni cinematografiche dello squadrismo e delle prime azioni fasciste sono rare. Vecchia Guardia (1934) di Alessandro Blasetti rievoca la supposta spontaneità vitalistica dello squadrismo con toni populisti, ma non viene apprezzato dalla critica ufficiale. Camicia nera (1933) di Giovacchino Forzano,realizzato per il decennale della marcia su Roma, celebra i successi del regime (la bonifica della paludi pontine e la costruzione di Littoria) alternando sequenze narrative a brani documentari. Con il consolidamento politico, l'autorità governativa impone all'industria cinematografica di rafforzare l'identificazione del regime con la storia e la cultura del paese. Da qui nasce la necessità di rileggere la storia italiana in una prospettiva autoritaria, riducendo teleologicamente ogni avvenimento passato a un prodomo della rivoluzione fascista, in continuità con l'opera storiografica di Gioacchino Volpe. Dopo i primi tentativi in questa direzione,volti soprattutto a sottolineare la presunta continuità tra Risorgimento e fascismo (Villafranca di Forzano, 1933, 1860 di Blasetti, 1933) la tendenza raggiunge l'apice poco prima della guerra. Cavalleria (1936), di Goffredo Alessandrini, rievoca la nobiltà dei combattenti sabaudi presentandone le gesta come anticipazioni dello squadrismo. Condottieri, (1937) di Luis Trenker, racconta la storia di Giovanni delle Bande Nere stabilendo esplicitamente un parallelo con Benito Mussolini, mentre Scipione l'Africano (1937) di Carmine Gallone (uno dei maggior sforzi produttivi dell'epoca), celebra l'impero romano e indirettamente fascista. L'invasione dell'Etiopia dà ai registi italiani la possibilità di estendere gli orizzonti delle ambientazioni. Il grande appello (1936) di Mario Camerini esalta l'imperialismo descrivendo la “nuova terra” come un'opportunità di lavoro e redenzione, contrapponendo l'eroismo dei giovani soldati alla pavidità borghese. La polemica antifascista che accompagna le imprese coloniali è evidente anche in Lo squadrone Bianco (1936) di Augusto Genina,che unisce la retorica propagandistica a notevoli sequenze di battaglia girate nel deserto della Tripolitania.
La maggior parte dei film a celebrazione dell'impero sono in prevalenza documentari volti a presentare la guerra come una lotta della civiltà contro la barbarie. La guerra di Spagna è descritta nei documentari Los Novios de la muerte (1936) di Romolo Marcellini e Arriba Espana, Espana una, grande libre! (1939), di Giorgio Ferroni, fa da sfondo un'altra dozzina di film, tra i quali il più spettacolare è L'assedio di Alcazar (1940) di Augusto Genina. Con l'entrata in guerra, il regime fascista rafforza ulteriormente il controllo sulla produzione e richiede un impegno più deciso nella propaganda. Oltre agli ormai canonici documentari, cortometraggi e cinegiornali, aumentano anche i film a soggetto in elogio delle imprese belliche italiane. Tra i più rappresentativi troviamo Bengasi (1940) di Genina, Gente dell'aria (1942), di Esodo Pratelli, I tre aquilotti (1942), di Mario Mattoli su sceneggiatura di Vittorio Mussolini e Quelli della montagna (1943) di Cino Betrone con la supervisione di Blasetti.
Una citazione a parte merita Uomini sul fondo (1941) di Francesco De Robertis, un film notevole grazie al suo approccio quasi documentaristico. Il film di maggiore successo del periodo è Noi vivi – Addio Kira! (1942), di Goffredo Alessandrini. Riconducibile al genere del dramma anticomunista, questo cupo melodramma ambientato in un' improbabile Unione Sovietica è ispirato a un romanzo dello scrittrice Ayn Rand che esalta l'individualismo più radicale. Tra i registi che danno il loro contributo alla propaganda bellica c'è anche Roberto Rossellini, autore di una trilogia composta da La nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), e L'uomo dalla croce (1943). Anticipando per certi versi le sue opere della maturità, il regista adotta uno stile dimesso e immediato,che non contrasta l'efficacia delle propaganda ma neppure esalta la retorica bellica dominante.
Il cinema dei Telefoni Bianchi
La stagione dei telefoni bianchi interessa un periodo di tempo relativamente breve, dalla seconda metà dagli anni trenta alla caduta del fascismo. Il riferimento dei telefoni di colore bianco (all'epoca era segno di benessere sociale), indica fin da subito i caratteri di questo cinema che portano al rifiuto di qualunque problematica sociale, ponendo al centro della scena esili commedie sentimentali. Tali commedie conoscono un effimero successo negli anni in cui il fallimento delle promesse del fascismo si fa sempre più evidente. Se da un lato l'ambientazione piccolo-borghese rivela le speranze e i sogni collettivi della società italiana, dall'altro il carattere ameno delle storie è in netto contrasto con la politica dominante e il cinema di propaganda a essa legato. Una denominazione alternativa del genere è cinema dèco, per sottolineare i frequenti riferimenti alle tendenze e al costume dell'epoca. Le relative produzioni, infatti traboccano di case di lusso, macchine di grido e arredamenti alla moda, degno contorno delle innocue vicende sentimentali di Amedeo Nazzari, Vittorio De Sica, Alida Valli ed Assia Noris. Il cosmopolitismo superficiale del genere è spiegabile anche per le necessità produttive: molti film sono adattamenti di commedie mite europee di inizio secolo, che tentano di mascherare la frivolezza del contenuto con la brillantezza dello stile. L'ambientazione straniera di molte storie (spesso in un 'Europa centrale indifferente alle tragedie del continente), contribuisce a relegare questo cinema nel puro disimpengo, lontano da preoccupazioni belliche e sociali. Inoltre, il “cinema dèco” si rivelerà ben presto il banco d'esordio di numerosi sceneggiatori destinati a imporsi nei decenni successivi (tra i quali Cesare Zavattini e Sergio Amidei), e soprattutto di numerosi scenografi come Guido Fiorini, Gino Sensani e Antonio Valente, i quali, in virtù delle riuscite invenzioni grafiche, porteranno tali produzioni a divenire una specie di summa dell'estetica piccolo – borghese del tempo. Tra gli autori, Mario Camerini è il maggior regista del genere. Dopo aver praticato i filoni più diversi,negli anni trenta si sposta felicemente nel territorio della commedia con gli Uomini,che mascalzoni (1932), Il Signor Max (1937), I grandi magazzini (1939), nei quali mette a punto una leggerezza di tocco capace di valorizzare i divi dell'epoca. In altri film si confronta con la commedia di impronta hollywoodiana su modello di Frank Capra (Batticuore, 1939), e con quella surreale alla Renè Clair (Darò un milione,1935), Camerini è interessato alla figura dell'italiano tipico e popolare, tanto anticipare alcuni elementi delle futura commedia all'italiana. Camerini è interessato alla figura dell'italiano tipico e popolare, tanto da anticipare alcuni elementi della futura commedia all'italiana. Il suo interprete maggiore,Vittorio De Sica,ne continuerà la lezione in Maddalena... zero in condotta (1940) e Teresa Venerdì (1941), Jean de Limur (Apparizione, 1944) e Max Neufeld ( La casa del peccato, 1938; Mille lire al mese, 1939) .
Il Calligrafismo
Il Calligrafismo è una tendenza cinematografica relativa ad alcuni film realizzati in Italia nella prima metà degli anni quaranta e dotati di una complessità espressiva e molteplici riferimenti figurativi e letterari che li isolano dal contesto generale. L'esponente più noto di questa tendenza è Mario Soldati, scrittore e regista di lungo corso destinato a imporsi con pellicole di ascendenza letteraria. I suoi film mettono al centro della storia personaggi femminili dotati di una forza drammatica e psicologica estranea al cinema dei telefoni bianchi e rinvenibili in opere come Dora Nelson (1939), Piccolo mondo antico (1941), Malombra (1942), Tragica notte (1942) e Quartieri alti (1943). Luigi Chiarini, approfondisce la tendenza nei suoi La bella addormentata (1942),Via delle Cinque Lune (1942) e la Locandiera (1944). I conflitti interiori dei personaggi e la ricchezza scenografica sono ricorrenti anche nei primi film di Alberto Lattuada (Giacomo l'idealista, 1942) e Renato Castellani (Un colpo di pistola, 1942), dominati da un senso di disfacimento morale e culturale che sembra anticipare la fine della guerra. La caratteristica saliente in questo corpus eterogeneo di film è la volontà di competere con le produzioni europee affermando l'autonomia del cinema nei confronti delle altri. Nelle stesso tempo, si evoca la possibilità di confrontarlo con esse mediante uno stile che possa fondere e contaminare i diversi linguaggi espressivi. Il risultato è un cinema formalmente complesso, capace di rievocare numerose tendenze culturali e di armonizzarle in una forma artistica compiuta. Si rivaluta così il carattere “artigianale” del cinema, più volte svilito dalle coeve produzioni dei telefoni bianchi. I riferimenti letterari principali sono quelli della narrativa ottocentesca, in prevalenza italiana (da Antonio Fogazzaro a Emilio De Marchi), russa e francese. Ai film collaborano letterati come Corrado Alvaro, Ennio Flaiano, Emilio Cecchi, Francesco Pasinetti, Vitaliano Brancati, Mario Bonfantini e Umberto Barbaro. Sul versante visivo, il calligrafismo si rifà ai macchiaioli toscani. Le pellicole di questo periodo non hanno vocazione realista o di impegno sociale. L'interesse principale resta la cura formale e la ricchezza di riferimenti culturali racchiusi in un cinema capace di valorizzare. L'interesse principale resta la cura formale e la ricchezza di riferimenti culturali racchiusi in un cinema capace di valorizzare la professionalità di ogni componente produttiva. Il Calligrafismo non porta a innovazioni nel sistema produttivo, ma ne eleva la qualità e rivela le ambizioni di una nuova generazione di autori interessati a superare i limiti ristretti della cultura fascista. La critica del tempo bolla questi film come velleitari e superficiali (coniando appositamente l'espressione “calligrafismo”), in seguito, a partire dagli anni sessanta, questo giudizio riduttivo è stato ampiamente riveduto e corretto dalla critica.
Il cinema nella Repubblica di Salò
Il cinema della Repubblica di Salò è un campo scarsamente considerato dalla storiografia. Questa “non storia”, inizia all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre, quando Luigi Freddi stabilisce il nuovo centro cinematografia fascista a Venezia allo scopo di riprendere la produzione. Ferdinando Mezzasoma, nominato Ministro della Cultura Popolare, tenta di creare una piccola Cinecittà veneziana con i registi, le maestranze e gli attori che hanno risposto all'appello di trasferirsi al nord. Ma nel cinema della Repubblica Sociale è da subito condannato a lottare contro la scarsità di mezzi concessi dalle autorità, ormai prive di interesse per quella che Mussolini stesso aveva definito l'arma più forte. Giorgio Venturini, Direttore generale dello spettacolo (peraltro privo di qualunque esperienza in campo cinematografico), descrive con realismo la situazione in cui si trova a operare.
All'inizio del 1944 vengono inviate da Praga le apparecchiature cinematografiche requisite dai tedeschi a Cinecittà e la produzione può iniziare. Il tentativo di stabilire un solido gruppo di attori è però fallimentare: Osvaldo Valenti, Luisa Ferida e Doris Duranti, sono solo i nomi di prestigio ad aver giurato fedeltà al nuovo regime ed ad aderire al cinevillaggio, mentre gli altri attori ( tra cui Luigi Tosi, Andreina Carli, Mino Doro,Nada Fiorelli,Maurizio D'Ancora ed Elena Zareschi) sono invece dei nomi di secondo piano, che non bastano a suscitare l'interesse del pubblico. Tra i registi che aderiscono troviamo Piero Ballerini, Francesco De Robertis, Fernando Cerchio, Ferruccio Cerio, Giorgio Ferroni, Mario Baffico, Max Calandri; tra gli sceneggiatori Corrado Pavolini e Alessandro De Stefani. Le risorse del Ministero vengono usate principalmente per riportare in vita il Cinegiornale Luce.
I 55 servizi realizzati dalla metà del 1943 alla fine della guerra si occupano di cronache mondane, eventi sportivi, curiosità dall'estero. La guerra resta spesso sullo sfondo, e in un solo numero si parla dei partigiani. I lungometraggi a soggetto, una quarantina in totale (molti dei quali andati perduti ) evitano con cura la propaganda. Tra i titoli più significativi sopravvissuti c'è La vita semplice (1946) di Francesco De Robertis, una storia sentimentale ambientata nella Venezia Popolare. La fine della guerra è anche la fine di questo fragile cinevillaggio. Al cessare dell'ostilità i dissidi saranno ricomposti in nome della ricostruzione nazionale, in parte nella vana speranza di mantenere anche in tempo di pace una parte della produzione a Venezia. Negli ultimi anni del conflitto l'Italia conosce tragedie e distruzioni immani. Uno dei sistemi produttivi più avanzati d'Europa si è dissolto e la produzione è praticamente ferma. In questo scenario desolante si manifesta una volontà di rinascita, che nel 1944 porta alla fondazione dell'ANICA, erede diretta della FNFIS di epoca fascista, che raccoglie gli interessi di produttori, distributori ed esercenti. Un articolo del Mondo Nuovo, rotocalco statunitense in lingua italiana, sintetizza così questa volontà di resurrezione: All'indomani del 25 aprile, i partiti formano un governo di coalizione su base cattolica, liberale, socialista e comunista. Con l'avvento della Repubblica, nel giro di pochi anni, la produzione si stabilizza; nel 1945 vengono prodotti 28 film, che salgono a 62 l'anno successivo e a 104 all'inizio degli anni cinquanta. Alla fine del decennio si arriverà a 167. La crescita e facilitata anche da un politica di assistenza da parte del governo intesa a garantire la stabilità dell'assetto industriale, in opposizione all'azione degli studios hollywoodiani, della PWB, e della diplomazia statunitense,che puntano invece a impedire la ripresa produttiva. Nel corso del decennio la cinematografia nazionale si imporrà sui film statunitensi, che si sono abbattuti in massa sul mercato alla fine della guerra. In questo campo di contraddizioni si sviluppa il neorealismo, una stagione artistica e culturale che riguarda tutte le forme d'arte, ma che trova nel cinema i suoi risultati più compiuti. Il neorealismo nasce dal libero incontro di alcune individualità all'interno di un clima storico comune, rappresentato dal trauma della guerra e la relativa lotta di liberazione. Per tali motivi il cinema neorealista non può essere considerato né una corrente né un movimento, dato che i registi di spicco (Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Luchino Visconti, Giuseppe De Santis), manterranno sempre una personalità autonoma e originale. I tratti comuni del neorealismo, inseparabili dal contesto storico,sono identificabili piuttosto nel senso etico di fratellanza nato dall'antifascismo, nella centralità di personaggi comuni e nell'intreccio tra vicende private e storia pubblica, tutti elementi che spingono all'uso preferenziale (ma non esclusivo) di attori non professionisti e di ambientazioni reali.
Si evolve in tal modo un cinema di stampo realista che assurge a simbolo di riscatto del popolo italiano, di quella società povera ma vitale che il cinema d'epoca fascista aveva rimosso. Il momento di svolta avviene con Roma Città Aperta (1945) di Roberto Rossellini, rievocazione della lotta antifascista a Roma negli ultimi mesi della guerra in cui le diverse anime della resistenza romana (comunista, liberale e cattolica), collaborano nel rispetto reciproco. Quello che più interessa al regista sono “le strade, le chiese, i tetti, le case popolari, quegli spazi vitali che l'uomo è chiamato a difendere”. Il film ottiene grande successo internazionale e consacra Rossellini a portavoce del neorealismo. La visione ecumenica ritorna nel successivo, Paisà (1946), affresco bellico sull'avanzata degli alleati dalla Sicilia alla Valle del Po, che rispetto al precedente sacrifica la psicologia individuale alla necessità dell'itinerario storico e geografico. Per certi versi speculare Paisà è invece Germania anno Zero (1947) girato tra le macerie di una Berlino distrutta dai bombardamenti. Qui il trauma bellico è inserito nella visione cattolica della lotta dell'uomo contro le avversità della storia, che nel tragico finale sembra sancire la morte della solidarietà. Francesco Giullare di Dio (1950), rinnova la ricerca tematica del regista rappresentando la religione popolare come risposta al senso del vivere. Nei seguenti Stromboli (1950), Europa '51 (1952) e Viaggio in Italia (1954), segnati dalla collaborazione con Ingrid Bergman, il regista si interroga sul rapporto tra individuo e società, sulla solitudine il regista si interroga sul rapporto tra individuo e società, sulla solitudine dell'esistenza e sul silenzio di Dio, rappresentando i dati visibili come correlativi di una ricerca interiore. Proprio con Viaggio in Italia, Rossellini, ancor prima del cinema esistenziale di Antonioni, stacca la macchina da presa dai fatti e impone agli attori una recitazione straniata arrivando a cogliere il senso profondo dell'alienazione contemporanea. Questi film, accolti inizialmente con freddezza dalla critica, avranno grande influenza nello sviluppo del cinema europeo dei decenni successivi. Sul versante opposto, la parabola di Vittorio De Sica è inseparabile da quella del suo sceneggiatore Cesare Zavattini, che in più di un occasione ha rappresentato la coscienza teorica dell'intero neorealismo.Insieme realizzano nel 1944 I Bambini ci guardano, che mostra una forte attenzione alla realtà contemporanea; attenzione ripresa e ampliata nel successivo Sciuscià (1946), che conoscerà in breve tempo una grande affermazione internazionale. A differenza di Rossellini, De Sica carica il film di intensità emotiva e cerca il coinvolgimento dello spettatore raccontando la difficile sopravvivenza di due ragazzini inevitabilmente sconfitti dalla società. Con Ladri di Biclette (1949) il dramma individuale, inserito in una più ampia problematica sociale, si carica di un pathos abilmente gestito dal regista, capace di impiegare al massimo grado le interpretazioni di attori non professionisti. Miracolo a Milano (1951) entra nel territorio della favola sotto forma di apologo fantastico e incentra le proprie tematiche sul bisogno della solidarietà (portando allo scoperto una tendenza latente nella poetica Zavattini. Tale rivendicazione del potere dell'immaginazione sulla realtà verrà accolta con grande scetticismo da parte della critica e non troverà più seguito. L'idea Zavattiniana di mettere scena una puntigliosa descrizione della vita quotidiana raggiunge il suo clima più alto con la pellicola Umberto D. (1953), molti versi uno degli apici di tutto il neorealismo. La storia di un individuo qualunque alle prese con il dramma di vivere procede per accumulazione di dettagli che la regia porta fino al culmine della forza espressiva. Dopo questo exploit la coppia si limiterà a forme narrative più consolidate, e lo stesso neorealismo sembrerà aver esaurito le sue potenzialità. Tra i registi di questo periodo, Luchino Visconti è il più complesso, solo in parte riconducibile ai moduli del neorealismo. Il suo esordio apre la strada alla riscoperta della realtà con Ossessione (1943), autentico film-spartiacque che mostra già l'ascendenza letteraria del suo cinema, l'interesse per il melodramma e l'ambientazione rurale. Spiegando i motivi del noir americano ai moduli del realismo (in particolar modo francese) questo tragico dramma psicologico risulta del tutto anomalo nel contesto del cinema fascista e sarà un punto di riferimento obbligato per molti cineasti successivi. Dopo la partecipazione al film collettivo Giorni di Gloria (1945) e un'importante attività teatrale, Visconti raggiunge uno degli apici della sua filmografia con la Terra Trema (1949) interpretato da attori non protagonisti e parlato in dialetto, il film è la summa di tutte le influenze artistiche e culturali del regista. Figura unica di intellettuale aristocratico e comunista. Il cineasta milanese guarda alla storia di una comunità di pescatori attraverso la lettura esplicitamente marxista della lotta di classe. Da un punto di vista estetico, il complesso apparato figurativo rende funzionale al dramma ogni elemento della messa in scena, con sequenze costruite secondo precisi rapporti plastici,cromatici, sonori e musicali. L'opera è in insuccesso di pubblico e Visconti ripiega su progetti meno ambiziosi. Il successivo Bellissima (1951), torna alla contemporaneità con una descrizione minuziosa del mondo del cinema e del fascino esercitato sui popolani, ma non rinuncia alla costruzione narrativa romanzesca né alla complessità figurativa. Interessato a estendere i confini del neorealismo è anche Giuseppe De Santis. Dopo un lungo apprendistato critico per la rivista Cinema, De Santis esordisce nel 1946 con Caccia Tragica, che mostra già la sua preferenza per il racconto corale,la complessità della messa in scena e la tendenza epica. Nell'arco di una dozzina di film, De Santis cercherà di adottare i moduli neorealisti al cinema popolare contemporaneo, nonchè il realismo socialista sovietico allo spettacolo hollywoodiano. L'ambizione è meglio ripresa in Riso Amaro (1949), grande successo internazionale, che coniuga ambizione sociale e cultura popolare. In Non c'è pace tra gli ulivi (1950) vengono riassunti tutti i temi a lui più cari: la centralità del personaggio femminile, l'ambientazione agricola, la precisa descrizione sociale, Roma ore 11 (1952), abbandona l'ambientazione rurale per descrivere il processo di inurbamento e le contraddizioni della ripresa economica. I pochi film successivi tra cui: Un marito per Anna Zaccheo (1953), Giorni d'amore (1954), Uomini e lupi (1956), La strada lunga un anno (1958), saranno accolti con freddezza dalla critica, quasi a significare l'esaurimento creativo del neorealismo e la difficoltà di rappresentare una società più complessa. Fino alla metà degli anni cinquanta molti film riprenderanno, in forme più o meno consapevoli, temi e ambientazioni del neorealismo. In Roma città libera (La notte porta consiglio), Marcello Pagliero contamina il neorealismo con diverse tendenze di matrice comica.
Alberto Lattuada, influenzato dal noir americano, coniuga realismo e necessità spettacolare con Il Bandito (1946); seguono l'ambizioso affresco storico Il Mulino del Po (1949) e Il cappotto (1952), entrambi di origine letteraria. Il giovane Pietro Germi guarda ai moduli del cinema statunitense con Il Testimone (1945), e Gioventù perduta (1947); con le opere In nome della legge (1949) e Il cammino della speranza (1950) conferma la solidità della sua regia. Anche Mario Soldati mette la vocazione letteraria al servizio del realismo con Le Miserie del Signor Travet (1946), prima di dedicarsi soprattutto alla narrativa. Luigi Zampa realizza i suoi film più noti con la collaborazione di Vitaliano Brancati, nella relativa trilogia Anni difficili (1948), e L'arte di arrangiarsi (1954). Una certa attenzione sociale ormai ridotta a puro sfondo per commedie sentimentali, sopravviverà fino alla fine del decennio in un filone bollato dalla critica come “neorealismo rosa”, di cui i film di Luciano Emmer (Domenica d'agosto, 1950); Le ragazza di Piazza di Spagna, 1952, Terzo Liceo, 1953,costituiscono gli esempi più noti. Anche Renato Castellani contribuisce a riportare in auge la commedia di ambientazione realista con Sotto il sole di Roma (1948) ed E' primavera (1948), entrambi girate in esterni con attori non professionisti, e soprattutto con il successo di pubblico e critica e Due soldi di speranza (1952). Il suo stile, abile nel coniugare commedia popolare e motivi realisti, arriverà a influenzare i registi maggiori della commedia all'italiana: è il caso di Luigi Comencini e Dino Risi nei rispettivi Pane, amore e Fantasia (1953), Poveri ma belli (1956). In tale contesto cinematografico si farà strada, inoltre una nuova schiera di attrici, che in breve tempo incarnerà un rinnovato divismo femminile. Fra le tante si ricordano: Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini, Marisa Allasio, Lucia Bosè, Silvana Mangano, Virna Lisa, Sophia Loren. A metà del decennio la tendenza neorealista può dirsi esaurita. Tra le cause vanno citate la crescita produttiva (con la contemporanea affermazione di generi più codificati), il raffreddamento ideologico imposto dal governo in cambio del sostegno all'industria, l'evoluzione dei registi maggiori e la difficoltà di rappresentare una società in continuo cambiamento. A segnare la chiusura di questa esperienza provvedono i film di Roberto Rossellini dei primi anni cinquanta, l'esaurimento della vena realista di Vittorio De Sica (con l'insuccesso del film Stazione Termini) e soprattutto il dibattito suscitato da Senso (1954) di Luchino Visconti, che supera il realismo contemporaneo nella direzione dell'affresco storico risorgimentale (riflesso attraverso Gramsci) e dell'interesse per la complessità psicologia.
Il cinema d'autore degli anni cinquanta, sessanta e settanta
A partire dalla metà degli anni cinquanta il cinema italiano si svincola dal neorealismo affrontando tematiche prettamente esistenziali, filmate con stili e punti di vista differenti,spesso più introspettivi che descrittivi. Si assiste così a una nuova fioritura di cineasti che contribuiscono in maniera fondamentale allo sviluppo della settima arte. Michelangelo Antonioni è il primo a imporsi, divenendo in breve tempo un autore di riferimento per tutto il cinema moderno. Tale carica di novità è ravvisabile fin dal principio. Infatti la prima opera del regista, Cronaca di un amore (1950), segna un'indelebile frattura con il mondo del neorealismo.
Dopo aver girato La Signora delle Camelie (1953), Le amiche (1955), e Il Grido (1957), negli anni tra il 1960 e il 1962, dirige la celebre “trilogia dell'incomunicabilità”, composta dai film L'avventura, La notte e L'eclisse. In tali pellicole Antonioni affronta in maniera diretta i moderni temi dell'incomunicabilità, dell'alienazione e del disagio esistenziale, dove i rapporti sono volutamente descrittivi in maniera oscura e sfuggente. Il regista riesce così a rinnovare la drammaturgia filmica e a creare un forte smarrimento tra pubblico e critica, i quali accolgono queste opere in maniera spesso costante. Sempre negli anni sessanta si consacra all'attenzione internazionale con i seguenti Il deserto rosso (1964), Leone D'oro al miglior film al Festival di Venezia e Blow Up (1966), vincitore l'anno successivo della Palma D'oro al Festival di Cannes. Il film sceneggiato con Tonino Guerra, è una profonda riflessione sul rapporto arte - vita e sull'impossibilità del cinema di rappresentare la realtà, simbolicamente riassunta nell'ultima sequenza, dove alcuni saltimbanchi mimano ripetutamente una partita di tennis. Durante gli anni settanta ottengono visibilità oltre i confini nazionali Zabriskie Point (1970) e Professione Reporter (1974), quest'ultimo interpretato dall'attore americano Jack Nicholson. La pellicola (resa famosa dal virtuosistico piano sequenza finale di sette minuti), si avvale di molteplici scenografie che spaziano dai deserti africani alla Barcellona surreale di Gaudì, fotografati in maniera vitrea e assolata. Vent'anni dopo, nel 1995 riceverà dall'Accademy l'Oscar onorario alla carriera. Altra figura centrale per lo sviluppo della settima arte è il cineasta Federico Fellini, autore che più di ogni altro ha racchiuso ogni aspetto del reale e del surreale in una dimensione poetica e favolistica. Dopo aver debuttato come scrittore umoristico nella rivista Marc'Aurelio e aver dato il proprio contributo come sceneggiatore in importanti film neorealisti, esordisce al cinema con Alberto Lattuada nel film Luci del varietà (1950).
Con pellicole come Le notti di Cabiria (1957) e La dolce vita (1960), oltre ai precedenti i Vitelloni (1953), e La Strada (1954), si impone come uno dei massimi punti di riferimento del cinema italiano. Il suo cinematografico viene esaltato dal fortunato sodalizio con gli sceneggiatori Ennio Flaiano e Tulio Pinelli e con il compositore Nino Rota, le cui colonne sonore entreranno nell'immaginario collettivo. Alcune scene dei suoi film noti diventeranno simboli di un intera epoca, come la famosa sequenza di Anita Ekberg, che ne La Dolce Vita, entra nella Fontana di Trevi divenendo, da allora, un'icona del cinema internazionale. Alla sua uscita l'opera scatena polemiche che vedono scendere in campo la rivista cattolica dell'Osservatore Romano, che denigra il film come amorale e impuro. L'opera è infatti, un programmatico affresco di una Roma frivola e decadente, assolutamente priva di qualsiasi certezza morale. Ne consegue un composito viaggio nel sonno della ragione dove i disvalori della società borghese emergono in maniera autentica e viscerale. Nel corso degli anni sessanta l'artista romagnolo inizia una fase di sperimentazione col monumentale, onirico e visionato 8½ (1963) che aprirà una nuova fase della sua lunga e luminosa carriera. Il film è un autobiografia immaginaria dello stesso regista, che tocca temi come l'arte, la persistenza della memoria e la morte. Gli anni settanta si aprono con I Clowns (1970), dove l'autore ha modo di mettere in vetrina il delirante universo del circo, a cui segue un rinnovato omaggio alla capitale del film Roma (1972), documentario, sospeso tra impennate liriche e impietosa satira di costume. Con Amarcord (1974) descrivere i propri luoghi d'infanzia con nostalgia e complicità contrapponendo alla mediocrità del fascismo la spontanea vitalità dell'età adolescenziale. Opere successive come Il Casanova di Federico Fellini (1976), La città delle donne (1980), E la nave va (1983), Ginger e Fred (1985), Intervista (1987), e La voce della luna (1990), consacrano Fellini come un dei più grandi artisti della macchina da presa del XX secolo.Nel 1960 esce nelle sale cinematografiche Rocco e i suoi fratelli, opera ispirata ai racconti contenuti in Il ponte della Ghisolfa, di Giovanni Testori, mette a confronto una storia di miseria meridionale con la civiltà industriale del Nord, raccontando l'afflusso migratorio delle popolazioni del Sud. Nel 1963 giunge sugli schermi Il Gattopardo di Luchino Visconti, che consegue nello stesso anno La Palma d'oro al Festival di Cannes. La pellicola è una fedele illustrazione del passaggio della Sicilia dei Borboni a quella dei Sabaudi. Celebre la sequenza conclusiva del ballo tra Burt Lancaster e Claudia Cardinale, pur cui Nino Rota arrangia un valzer inedito di Giuseppe Verdi. La sua vasta produzione continua con le opere La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971), Ludwing (1973), Gruppo di Famiglia in un interno (1974). Con la pellicola Vaghe stelle dell'Orsa,riceve nel 1965 Il Leone D'oro come miglior film al Festival di Venezia. Allievo di Visconti, Franco Zeffirelli, autore e regista realizza La Bisbetica Domata (1967) e Romeo e Giulietta (1968), con cui ottiene la candidatura all'Oscar come miglior regista; Roberto Rossellini raggiunge il suo successo con La Traviata, uscito nelle sale nel 1982, dopo la conquista nel 1959 del Leone d'oro a Venezia per Il generale Della Rovere, aprirà una nuova fase della sua carriera con la sperimentazione di nuove pellicole per il cinema e la televisione, dal puro scopo umanistico e didattico. All'inizio degli anni sessanta Vittorio De Sica porterà al successo planetario l'attrice Sophia Loren nel drammatico La ciociara (1960) e in egual misura della commedia a episodi Ieri oggi, domani (1963), dove l'interprete romana recita al fianco di Marcello Mastroianni. Con Il giardino dei Finzi – Contini (1970), l'artista si aggiudicherà nel 1971 l'Orso d'orso al Festival di Berlino e l'anno dopo l'Oscar per il Miglior film straniero. Da sottolineare la peculiare carriera del palermitano Vittorio De Seta che negli anni cinquanta realizza vari documentari ambientati prevalentemente in terra siciliana e sarda. Queste opere descrivono con potente espressività gli usi e costumi del proletariato meridionale e, allo stesso tempo, mettono a nudo le dure condizioni di vita dei pescatori siciliani, dei minatori di zolfo nisseni e dei pastori della Barbagia. Nel 1955, il regista riceve la Palma d'oro a Cannes per il miglior documentario grazie al film Isola di Fuoco. Anni più tardi abbandona il documentario dirigendo nel 1961 il film a soggetto Banditi a Orgosolo. L'opera, stilisticamente asciutta, è un resoconto a sfondo neorealista della vita e delle abitudini di un pastore sardo che varrà al regista il premio Opera prima al Festival di Venezia. Restando al documentario (e ancor prima di De Seta), il regista Domenico Paolella fecondo autore di molti generi cinematografici si aggiudica nel 1951 La Palma D'oro al Festival di Cannes, per il docufilm La tragedia dell'Etna.
Allo stesso modo, riceve attenzione oltre confine l'autore e scrittore Folco Quilici per i relativi documentari L'ultimo paradiso (1956) e Dagli Appennini alle Ande (1960). In un tempo coevo si afferma il regista Carlo Lizzani. Dopo aver contribuito all'affermazione del Neorealismo, soprattutto in veste di critico e sceneggiatore, si è imposto come autore di un cinema politicamente impegnato, affrontando momenti scottanti della storia italiana, dal fascismo alla cronaca più recente. Dopo aver realizzato alcuni documentari (Nel Mezzogiorno qualcosa e cambiato, 1950), nel 1951 dirige il suo primo lungometraggio, Actung,Banditi!, storia di un episodio di guerra partigiana cui fa seguito l'amore che si paga (episodio di L'amore in città,1953). La sua filmografia continua con Cronache di poveri amanti (1954), resoconto della Firenze degli anni Venti Tratto dal Romanzo di Vasco Pratolini, Il gobbo (1960) vivido ritratto di un bandito della periferia romana, Il processo di Verona (1963), e La vita agra (1964). Sempre negli anni cinquanta, Alessandro Blasetti mette in campo la sua innata voglia di sperimentare inaugurando, con Altri tempi (Zibaldone n. 1), Tempi nostri (Zibaldone n.2), la realtà dei film a episodi, che verrà sfruttata in modo capillare da tutto il cinema a venire, sia autoriale che farsesco. Altro protagonista del cinema d'autore è sicuramente Pier Paolo Pasolini. Figura iconoclasta del cinema e della letteratura italiana, nella varietà delle sue opere si è spesso opposto ai costumi e alla morale del tempo, risultando a posteri uno dei maggiori intellettuali del XX secolo. Attento osservatore della trasformazione della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, ha spesso suscitato forti polemiche per la radicalità e vivacità del suo pensiero; vivacità che ha saputo mettere in evidenza anche in campo cinematografico e da subito riscontrabile del suo film d'esordio Accattone (1961). Lontano dall'esperienza neorealista, Pasolini con movimenti di macchina asciutti e funzionali, rivela la matrice sacra e populista della propria ispirazione, descrivendo un'umanità sottoproletaria autentica e tragica. Le medesime ambientazioni le si ritrova in Mamma Roma (1962), con Anna Magnani, dove il regista nobilita i suoi personaggi suburbani con richiami alla pittura rinascimentale del Mantegna. Il Vangelo secondo Matteo (1964), l'artista racconta la vita di Cristo rinunciando gli orpelli dell'iconografia tradizionale, avvalendosi di uno stile registico che alterna camera a mano a immagini proprie della pittura quattrocentesca. In Uccellini e uccellini (1966) il suo cinema vira sull'apologo fantastico descrivendo le varie trasformazioni del proletariato con una libertà di scrittura che mescola abilmente il documentario alla finzione, con trovate sovente corrosive e intelligenti. Tra le sue vari e pellicole si ricordano: Edipo Re (1967), Teorema (1968), Medea (1969) e le trasposizioni cinematografiche della “trilogia della vita”: Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (Orso d'oro a Berlinio nel 1972) e il Fiore delle Mille e una notte (1974). Da ultimo si evidenzia l'agghiacciante Salò e le 120 giornate di Sodoma (1975), che avrebbe dovuto far parte della trilogia della morte, assieme a Porno-Teo-Kolossal, e un terzo film che non saranno mai realizzati a causa dell'assassinio del regista). Tali pellicole hanno proposto giudiziari ed episodi di censura. Sulla scia del cinema di borgata pasoliniano si inserisce l'opera di Gian Vittorio Baldi, che nei film Luciano, Una vita bruciata (1962) e Fuoco (1968) ritrae spaccati di un'Italia minore e periferica,sospesa tra passato e modernità; il tutto filmato con precisione sociologica e coerente controllo espressivo. Autore di un'estesa produzione documentaria, si mette in evidenza grazie al cortometraggio Il pianto delle Zitelle; due anni dopo, nel 1960, conquista il Leone d'oro per il miglior cortometraggio grazie al film La casa delle vedove. Sempre all'inizio degli anni sessanta si registra l'opera di Ansano Giannarelli, autore per molti decenni di svariate biografie cinematografiche, dedicate a illustri matematici, scienziati o autorevoli esponenti di partito. Con il suo primo film, 16 ottobre 1943 (1960), tratto dall'omonimo romanzo di Giacomo Debenetti, viene candidato all'Oscar nella relativa sezione cortometraggi. Un altro regista di rilievo è Valerio Zurlini: i suoi film, da Estate Violenta (1959) a La ragazza con la valigia (1961), da Cronaca familiare a Il deserto dei Tartari (1976), alternano suggestive rievocazioni letterarie ad analisi psicologiche raffinate e complesse, con risultati visivi spesso notevoli. Molto raffinato sul piano formale è il cinema di Mauro Bolognini che pur soffrendo talora di eccessi di decadentismo e affettazione, presenta una sensibilità espressiva fondata sullo scavo psicologico dei personaggi senza dimenticare la dialettica dei conflitti sociali. A tal proposito si ricordano i lungometraggi La giornata balorda (1960), Il bell'Antonio (1960), Metello (1970). Pur individuando nei decenni cinquanta, sessanta e sessanta il periodo aureo del cinema d'essai, numerosi altri registi hanno conquistato la nomea di autori anche nei decenni successivi, in special modo dalla metà degli anni sessanta. Questa nutrita schiera di cineasti, coltivando stili e tematiche differenti, è riuscita, anch'essa, a raccogliere consenso e prestigioso internazionale. Ermanno Olmi esordisce con il film Il tempo si è fermato (1958), emozionante parabola sui rapporti tra uomo e natura che fa subito emergere le sue peculiari doti artistiche.La notorietà arriverà tre anni dopo con Il posto (1961), un ritratto dolce – amaro della Milano boom economico. Dopo alcuni lavori Ermanno Olmi riceve il suo successo con il film L'albero degli zoccoli (1978), omaggio al mondo contadino in via di estinzione, premiato a Cannes con la Palma D'oro. Dopo una lunga malattia Ermanno Olmi ritorna alla ribalta negli anni ottanta col surreale Lunga vita alla signora ! (1987) e l'inteso La leggenda del santo bevitore (1988), premiato con Leone d'oro al festival di Venezia. Nel 2001 il regista realizza quello che molti critici considerano il suo miglior lavoro: Il mestiere delle armi, dedicato al mito di Giovanni dalle Bande Nere. Il film ottiene un grande successo, riceverà ben nove David di Donatello. Un rinnovato interesse da parte della critica accompagna l'uscita dei successivi lungometraggi, Cantando dietro i paraventi (2003, con un insolito Bud Spencer), Centochiodi (2007), Il Villaggio di cartone (2011), e Torneranno i prati (2014). Marco Ferreri si cimenta alla regia verso la fine degli anni cinquanta presentando un cinema grottesco e provocatorio,con tratti e accenti parzialmente “bunuellani”. I titoli più importanti della prima fase della sua carriera sono El Pisito (1958) La carrozzella (1960), La donna scimmia (1964). Raggiunge la piena maturità artistica con Dillinger è morto (1969), stralunato e attualissimo apologo sull'alienazione della vita moderna. Dopo il percosso kafkiano e surreale de L'udienza (1971) ottiene la massima popolarità interazionale con il sorprendente e discusso La grande abbuffata (1973). Scritto dal regista assieme a Rafael Azcona, il film è un'allegoria della società del benessere condannata all'autodistruzione e, al tempo stesso, un limpido saggio sui vari intrecci tra eros e thanatos, filmati con raggelante ironia. Il regista meneghino torna alla ribalta nel 1991 con la direzione del lungometraggio La casa del sorriso che si aggiudicherà L'Orso d'oro al Festival di Berlino. Tra i suoi ultimi lavori si ricordano Diario di un vizio (1993) e Nitrato d'argento, uscito nelle sale cinematografiche nel 1996. Sempre negli anni sessanta si impone all'attenzione di pubblico e critica l'opera del giovane Marco Bellocchio che tramite pellicole apertamente in contrasto con la società e i valori borghesi anticipa il fermento generazionale del sessantotto. La sua pellicola d'esordio I pugni in tasca (1965), a causa dei suoi contenuti altamente drammatici, scuote l'opinione pubblica aprendo la strada a una prolifica serie di film tra i quali si ricordano: La Cina è vicina (1967), Nel nome del padre (1972), Sbatti il mostro in prima pagina (1973), Marcia Trionfale e il documentario Matti da slegare, Nessuno o tutti (1975), diretto con Silvano Agosti, uno dei primi esempi di cinema militante a difesa del metodo psichiatrico di Franco Basaglia, teso al reinserimento sociale del malato. A partire dagli anni ottanta instaura un sodalizio artistico con lo psichiatra Massimo Fagioli, fino al ritorno in auge negli anni duemila con numerose pellicole che ne hanno consolidato il prestigioso autoriale. Tra queste si menzionano: L'ora di religione (2002), Buongiorno,notte (2003), Il regista dei matrimoni (2006), Vincere (2009), Bella Addormentata (2012), liberamente ispirato agli ultimi giorni di Eluana Englaro e da ultimo Sangue del mio sangue (2015). Nel 2011 riceve a Venezia il Leone d'oro alla carriera, seguito nel 2015 dal Pardo d'onore al Festival di Locarno. Bernardo Bertolucci si avvicina al cinema grazie a Pier Paolo Pasolini di cui sarà assistente sul set Accattone. Ben presto si stacca dal mondo pasoliniano per inseguire una personale idea di cinema,basata sullo studio antropologico dell'individuo e del suo relazionarsi ai mutamenti sociali che la storia impone. Esordisce giovanissimo nel lungometraggio La commare Secca (1962), e desta la attenzione con Prima della rivoluzione (1964). Nei primi anni settanta realizza in rapida successione tre capisaldi del suo cinema: Il conformista (1970), tratto dal romanzo di Moravia, il metafisico La strategia del ragno (1970) e il film scandalo Ultimo tango a Parigi (1972) con Marlon Brando e Maria Schneider. Il film, a causa dei suoi contenuti altamente erotici, viene sequestrato, assolto,nuovamente sequestrato e condannato alla distruzione per oscenità dalla Cassazione il 29 gennaio 1976 (con perdita dei diritti per cinque anni dello stesso regista). Il 9 febbraio 1987 la pellicola viene riabilitata con sentenza “di non oscenità”in quanto ”mutato il comune senso del pudore”. Consolida la fama internazionale con il Kolossal Novecento (1976), della durata di oltre cinque ore e che vede come i primi attori Robert De Niro e Gerard Depardieu. La pellicola è un potente affresco sulle lotte di classe contadine dagli albori del novecento fino alla seconda guerra mondiale, dove l'autore cerca di caricare le immagini con luci e colori propri “pittura contadina”, rivendibile nei quadri di Miller, Vincent Van Gogh e Pelliza da Volpedo. Il 1987 segna un'ulteriore svolta: dirige, infatti, il ciclopico e suggestivo L'Ultimo Imperatore, che si aggiudicherà ben nove Premi Oscar, tra cui quelli per miglior film e regia.Negli anni successivi Bertolucci prosegue sulla strada del Kolossal e per il mercato internazionale con Il tè nel deserto (1990) e Il Piccolo Buddha (1993), ambientato in Nepal e negli Stati Uniti. La seconda metà degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio vedono Bertolucci virare verso un cinema più intimista con Io ballo da sola (1996), L'assedio (1998), e The Dreamiers, I sognatori (2003). Costretto su una sedia a rotelle per problemi di salute dopo quasi dieci anni torna dietro la macchina da presa per dirigere Io e te uscito al cinema nel 2012. I fratelli Paolo e Vittorio Taviani, appassionati di cinema, arrivano al loro primo successo con il film I sovversivi (1967), che vede come primo attore il cantautore Lucio Dalla, a cui seguono Sotto il segno dello Scorpione (1969), Allosanfan (1974), Padre Padrone, tratto dal romanzo di Gavino Ledda, racconta la lotta di un pastore sardo contro le regole feroci del proprio universo patriarcale. Nel film Il Prato (1979), si incontrano echi neorealisti, mentre La notte di San Lorenzo (1982), racconta, con uno stile vicino al realismo magico, la deliberata fuga di un gruppo di abitanti della Toscana, nella notte in cui tedeschi e fascisti compaiono una sanguinosa rappresaglia nel Duomo della città. Lo scenario della battaglia nel grande campo di grano (avvenuta tra i fascisti di Salò e i partigiani), rappresenta il momento culminante di un film che riscuote grandi consensi e che vince il gran premio speciale della giuria al Festival di Cannes. Nel 2012 si aggiudicando l'Orso d'oro al Festival di Berlino con il Film Cesare deve morire, realmente recitato dai detenuti del carcere romano di Rebibbia. Nel 1986 ricevono il Leone d'oro alla carriera. Gianni Amelio, dopo molte regie televisive per la Rai, debutta al cinema con Colpire al cuore (1982), un film sul terrorismo che non passa inosservato.
Dopo l'interessante I ragazzi di Via Panisperna (1988), sul leggendario gruppo di fisici guidato da Enrico Fermi, raggiunge l'acclamazione interazionale con il secco e riflessivo Porte Aperte (1990). Nei film che seguono, Amelio sviluppa tematiche legate alla realtà sociale con dolorosa partecipazione e sensibilità artistica. Con Il ladro di bambini (1992) vince nel 1992 il Premio speciale della giuria al Festival di Cannes. L'opera è un aggiornato“viaggio in Italia” in senso rosselliniano dove il regista attraverso lo sguardo muto e dolente dei suoi piccoli protagonisti descrive lo squallore morale dell'Italia anni novanta, senza chiudersi in facili nichilismi, né aprirsi a sogni illusori. L'America (1994), descrive la situazione politica dell'Albania post-comunista, trovandovi un paese devastato come quello di Germania anno Zero di Rossellini, filmando il tutto con il proprio stile asciutto e oggettivo. Quattro anni dopo, Cosi ridevano (1998), probabilmente il suo lavoro di più difficile comprensione per il pubblico, vince il Leone d'Oro alla Mostra del cinema di Venezia. Dopo Le chiavi di casa (2004), sul problematico rapporto tra un padre e il figlio disabile, Amelio cerca una storia di un più ampio respiro con La stella che non c'è (2006) ambientato tra l'Italia e la Cina. Negli ultimi anni è tornato alla regia con regolare continuità come dimostrano i lungometraggi Il primo uomo (2011), L'intrepido (2013), e il documentario Felice chi è diverso, uscito nel marzo del 2014. Tra gli altri autori del cinema italiano si ricordano Liliana Cavani,che conosce notorietà con le opere Il portiere di notte (1973), La pelle, (1981), e Il gioco di Ripley (2002), e Citto Maselli che ottiene un Gran Premio della giuria a Venezia per il film Storia d'Amore (1986) A seguire si fanno notare Corrado Farina, Marina Garriba, Lino del Fra. L'esperienza cinematografica dell'attore e regista teatrale Carmelo Bene, che desta scalpore grazie alla discussa opera Nostra Signora dei Turchi (1968), seguita dalle pellicole Salomè (1972), e Un Amleto di meno (1973). Nei primi anni settanta, si cimenta con il mezzo cinematografico lo scrittore Alberto Bevilacqua, presentando lungometraggi derivanti dalle sue opere letterarie. Tra i suoi lavori più noti vi sono: La Califfa (1970), e il seguente Questa specie d'amore (1972). Un significato esempio di cinema sperimentale è da ritrovarsi nell'opera di Alberto Grifi, in particolar modo nel film Anna, diretto assieme all'attore Massimo Sarchielli e presentato nei maggiori festival europei nel 1975. Il lungometraggio è un'inedita esperienza di cinema – diretto, che risponde, in undici ore di girato (ridotte a quattro), l'aberrante quotidianità di una giovane tossicodipendente incinta e senza dimora. I due attori, privi di soggetto e sceneggiatura, abbandonano la macchina da presa a una sorta di flusso di coscienza in tempo reale, facendo irrompere sullo schermo una tranche de vie libera da compromessi narrativi e mediazioni estetiche.
La grande stagione della commedia (1958 – 1980)
Verso la fine degli anni cinquanta si sviluppa il genere della commedia all'Italiana; una definizione che fa riferimento al titolo di un film di Pietro Germi: Divorzio all'Italiana (1961), con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli. Il termine, più che indicare un vero genere, riguarda una particolare stagione cinematografica, segnata da un nuovo modo di intendere gli elementi costitutivi della commedia. Tali elementi si pongono in contrasto con la commedia leggera e disimpegnata del Neorealismo rosa, assai in voga per tutti gli anni cinquanta. Tenendo a mente la lezione del neorealismo, la nuova commedia all'italiana pone le proprie attenzioni sulla realtà prodotta dal boom economico. Di conseguenza, accanto alle situazioni comiche e agli intrecci tipici della farsa tradizionale, vediamo emergere una pungente satira di costume, che evidenzia con tagliente ironia le contraddizioni della società industriale. A partire dalla fine degli anni sessanta, l'Italia vive numerose fasi che muteranno in maniera radicale la mentalità e il costume degli italiani. La congiuntura economica, le agitazioni studentesche e la ricerca di nuove emancipazioni nel mondo del lavoro e della famiglia, diverranno il luogo ideale entro il quale proiettare i personaggi della commedia, pronti a far rivivere sulla scena i mutamenti della società civile. A tale stagione cinematografica si ricollegano i nomi dei principali attori italiani del tempo: da Alberto Sordi a Vittorio Gassman, da Ugo Tognazzi a Nino Manfredi, da Monica Vitti a Claudia Cardinale, senza dimenticare Sophia Loren, Silvana Mangano, Giancarlo Giannini, Mariangela Melato e Ornella Muti.
Il regista Mario Monicelli, capostipite e fra i massimi esponenti della commedia italiana ottiene un grande successo con I soliti ignoti (1958), film scritto insieme a Fulvio Scarpelli e Agenore Incrocci. Opera cinematografica versione caricaturale del film noir Rififi (1955), di Jules Dassin, coniuga spunti grotteschi a sequenze proprie del dramma sottoproletario, filmando con minuzia di dettagli una Roma periferica e degradata, ancora estranea ai processi del boom. Il film si rivela un successo tanto da venir candidato all'Oscar come miglio film straniero. Monicelli originario di Roma entra nel mondo del cinema a soli vent'anni, dirigendo assieme al collega Alberto Mondadori la sua prima pellicola dal titolo I ragazzi della Via Paal (1935). Oltre al già citato I soliti Ignoti il regista darà vita a una serie di pellicole di fondamentale valore non solo per la commedia ma per l'intero cinema italiano. Nel 1959 esce nelle sale cinematografiche La grande guerra con Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Il lungometraggio, prendendo spunto da un racconto di Maupassant, contamina la tragedia storica con i moduli della commedia dissacrando un tema gli inutili massacri della prima guerra mondiale fino allora tabù per tutto il cinema nazionale. Dopo I compagni (1963), malinconico resoconto della nascita del movimento operaio nel 1966 il cineasta dirige il picaresco e folcloristico L'armata Brancaleone, un capolavoro di fantasia e avventure farsesche. Tra i suoi film successivi di successo: Romanzo Popolare,Amici Miei,Un borghese piccolo piccolo (1977). Mario Monicelli nel 1991 riceve il Leone d'oro alla carriera. Gli anni sessanta sono il periodo del boom economico e di riflesso il cinema risente dei cambiamenti che modificano la società italiana. Uno dei primi artisti a documentare tali cambiamenti è senz'altro il cineasta milanese Dino Risi, con Il sorpasso. Sempre per la regia di Dino Riso vanno menzionati il film a episodi I mostri, Una vita difficile, che vede attore protagonista Alberto Sordi, un documento artistico sull'Italia del dopoguerra e sulla nascente democrazia, in perfetto equilibrio tra la farsa e il dramma, tra ambizioni sociologiche e disillusione politica. Altre pellicole da segnalare sono: Straziami ma di baci saziami (1968), In nome del popolo Italiano (1971) e Profumo di donna. Il cineasta Luigi Comencini è stato uno dei autori di maggior rilievo con alcune commedie rosa (Pane amore e fantasia).
La grande stagione della commedia (1958 – 1980)
Il cineasta Luigi Comencini è stato senz'altro uno degli autori di maggior rilievo. Dopo aver raggiunto la popolarità negli anni cinquanta con alcune commedie rosa (tra le celebre Pane, amore e Fantasia ), nel 1960 regala al cinema italiano l'opera bellica Tutti a casa, film che ricostruisce i giorni seguenti l'armistizio di Cassibile. Tra le sue opere : A cavallo della tigre (1961), La ragazza di Bube (1963), Lo scopone scientifico, lo sceneggiato Rai Le avventure di Pinocchio, Il Gatto. Luigi Comencini nel 1987 si aggiudica, a Venezia, Il Leone d'oro alla carriera. Il regista romano Ettore Scola, dopo aver vestito i panni dello sceneggiatore, esordisce alla regia nel 1964 con il film Se permette parliamo di donne.
Nel 1974 realizza il film C'eravamo tanto amati, che ripercorre trent'anni di storia italiana attraverso le vicende di tre amici: l'avvocato Pietro Perego (Vittorio Gassman), il portatino Antonio (Nino Manfredi e l'intellettuale Nicola (Stefano Satta Flores).
Antonio Pietrangeli, che nei suoi film si è occupato di psicologia femminile delineando con precisione amari e finissimi ritratti di donna, tra le sue opere si ricordano : Il sole negli occhi (1953), Adua e le compagne (1960), La Parmigina, Io la conoscevo bene (1965). L'attore e regista Gian Luigi Polidoro riesce ad avere successo con la pellicola Il Diavolo (1963), e altre pellicole con argomenti attuali come il Vigile (1960), Il medico della mutua (1968) del regista Luigi Zampa, nonché le varie commedie di Vittorio De Sica come Il boom (1963), Ieri, oggi, domani (1963) e Matrimonio all'Italiana (1964). Verso gli anni settanta si conosce il cinema del regista Luciano Salce, autore di molteplici commedie. Oltre al ciclo comico dei film basati sulle avventure del Ragionier Fantozzi,vanno ricordati anche Il Federale, La Voglia matta e L'anatra all'arancia. Da non dimenticare il film di Franco Brusati, Pane e cioccolata che racconta le problematiche dell'immigrazione italiana, sempre in questo ambito, da ricordare Lina Wertmuller, che assieme alla rodata coppia di attori Giancarlo Giannini e Mariangela Melato ha dato vita nella prima metà degli anni settanta a pellicole di sicuro successo tra le quali si evidenziano : Mimì metallurgico ferito nell'onore (1972), Film d'amore e d'anarchia – ovvero “ Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza...“ (1973) e in ultimo Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto (1974). Altro regista di rilievo è il cinema di Sergio Citti, che dirige con spiccate abilità autoriali commedie grottesche e surreali, sulla falsariga di certo cinema pasoliano. Il regista romano raggiunge risultati convincenti in più di una pellicola tra le quali si menzionano: Ostia (1970), Casotto (1977) e il Minestrone (1981). Tra questi meritano di essere citati Nanni Loy il quale ha ricevuto una candidatura all'Oscar per il film Le quattro giornate di Napoli (1962) – Sergio Corbucci, Steno ,Salvatore Samperi e Marcello Fondato; e ancora : Pasquale Festa Campanile, Luigi Filippo D'amico, Tonino Cervi, Franco Rosi e Luigi Magni.
Il cinema comico
Il luogo ideale dove il genere comico trova ampia affermazione è senz'altro il teatro dove, tra gli anni trenta e quaranta, si sviluppano numerose scuole di avanspettacolo che vedono attori comici di prim'ordine come Carlo Dapporto, Gilberto Govi, Ettore Petrolini, Erminio Macario, Nino Taranto, Renato Rascel, e Antonio De Curtis, in arte Totò, ideatore di un autentica maschera della commedia dell'arte,Totò, ha spaziato dal teatro, al cinema, e alla televisione e alla pubblicit. I suoi film riscuotono ancora oggi molto successo, alcune battute sono diventate frasi entrante nel linguaggio comune. Tra i suoi innumerevoli lungometraggi si ricordano: I pompieri di Viggiù (1949), Totò cerca casa (1949), Totò le Mokò (1949), Totò a colori (1952), Miseria e nobiltà (1954) Signori si nasce(1960). Da non trascurare il sodalizio artistico con il grande attore di Teatro Peppino De Filippo, con il quale ha dato vita a numerose pellicole di sicura presa sul pubblico. Si menziona anche altri film come La banda degli onesti (1956), Totò,Peppino e.... la dolce vita (1961), Totò Peppino e la.... malafemmina (1956), per la regia di Camillo Mastrocinque. Attori comici quali Roberto Benigni, Carlo Verdone, Massimo Troisi, Francesco Nuti e Maurizio Nichetti, hanno proposto un nuovo modo di fare comicità passando con disinvoltura dallo sketch televisivo al cinema.
Il Cinema sociale politico
Franco Rosi dopo essere stato sceneggiatore e aiuto regista di Luchino Visconti, nel 1958 dirige la sua prima pellicola La Sfida, a cui segue un anno dopo I Magliari (1959). Nel 1962 si inaugura il progetto del film – inchiesta ripercorrendo, attraverso una serie di lunghi flashback, la vita del malavitoso siciliano Salvatore Giuliano. Rosi dirige Rod Steiger ne Le mani sulla città (1963), nel quale denuncia con coraggio le collusioni esistenti tra i diversi organi dello Stato e lo sfruttamento edilizio a Napoli. La pellicola viene premiata con il Leone D'oro al Festival di Venezia. Uno dei punti di arrivo del percorso artistico di Francesco Rosi è senz'altro Il caso Mattei (1972), un rigoroso documento in cui il regista cerca di far luce sulla misteriosa scomparsa di Enrico Mattei, manager del più importante gruppo statale italiano l'Eni. La pellicola vince la Palma d'oro al festival di Cannes e diviene un vero modello per analoghi film di denuncia civile prodotti nei successivi decenni ( a partire dal cinema di Costa – Graves e più avanti dal film JFK – Un caso ancora aperto di Oliver Stone). I movimenti studenteschi, operai, della fine degli anni sessata influenzano molte arti in particolar modo il cinema che e politicamente impegnato. In questo contesto nuovi registi continuano e potenziano l'opera del regista napoletano; tra questi il più attivo è l'autore romano Elio Petri, che utilizza il discorso politico in un'ottica di superamento e completamento del cinema neorealista. A tal proposito il regista milanese dichiara :
« Il Neorealismo se non inteso come vasta esigenza di ricerca e di indagine, ma come vera e propria tendenza poetica, non ci interessa più. Occorre fare i conti con i miti moderni, con le incoerenze, con la corruzione, con gli esempi splendidi di eroismi inutili, con i sussulti della morale: occorre sapere e potere rappresentare tutto ciò: »
Da ricordare di Elio Petri, Il maestro di Vigevano (1963), A ciascuno il suo (1967), tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia, La Classe Operaia va in paradiso (1971), Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970). Nel 1976 Petri porta al cinema un altro romanzo di Sciascia, Todo Modo, che racconta il grottesco decadimento di una classe dirigente, rifugiatosi in un Albergo-Eremo, allo scopo di praticare esercizi spirituali. L'impegno civile arriva al cinema con Damiano Damiani con il Giorno della Civetta (1967), Confessione di un commissario di polizia al procuratore della repubblica (1971), L'istruttoria è chiusa: dimentichi (1971), Perchè si uccide un magistrato, Io ho paura (1977). Da ricordare inoltre Giuliano Moltaldo, che dopo alcune esperienze come attore, mette in scena pellicole di carattere storico e politico come Gott mit uns (1970), Sacco e Vanzetti (1971) e Giordano Bruno (1973),di estrema importanza risulta il duro e realistico Detenuto in attesa di giudizio (1971), di Nanni Loy, protagonista un insolito Alberto Sordi. Nel 1969 Marlon Brando è il protagonista di un nuovo filmo politico sdiretto da Pontecorvo: Queimada, che descrive le sopraffazioni del colonialismo e la rivolta dei popoli oppressi in un paese del Sud America. Un altro regista legato al cinema politico e d'impegno sociale è Florestano Vancini, che nelle sue opere più riuscite ha coniugato la robustezza della ricostruzione storica con il resoconto di crisi sentimentali e soggettive. Tra le sue opere più note si ricordano: La lunga notte del'43 (1960), Le stagioni del nostro amore (1966), e il Delitto Matteotti (1973).
Il Cinema d'animazione
Il pioniere del cartone animato italiano è Francesco Guido, meglio conosciuto come Gibba. Subito dopo la fine della guerra, produce il primo mediometraggio animato del nostro cinema dal titolo L'ultimo Sciuscià (1946), che riprende tematiche proprie neorealismo e nel decennio seguente i lungometraggi Rompicollo e I picchiatelli, in collaborazione con Antonio Attanasi. Negli anni settanta, dopo molti documentari animati, lo stesso Gibba tornerà al lungometraggio con Il racconto della giungla (1974), preceduto dall'erotico Il nano e la strega (1973). Interessanti anche i contributi del pittore e scenografo Emanuele Luzzati che dopo alcuni pregevoli cortometraggi, realizza nel 1976 uno dei capolavori dell'animazione italiana; Il flauto magico, basato sull'omonima opera di Morzat. Nel 1949, il disegnatore Nino Pagot presenta al Festival di Venezia I fratelli Dinamite, uno dei primi lungometraggi animati dell'epoca, uscito nelle sale in concomitanza con La Rosa di Bagdad (1949), realizzato dall'animatore Anton Gino Domenighini.
Nei primi anni cinquanta il fumettista Romano Scarpa crea il cortometraggio La piccola fiammiferaia (1953). Con Bruno Bozzetto il cartoon italiano raggiunge una dimensione internazionale: il suo lungometraggio d'esordio West and soda (1965), una caricatura del genere Western, accoglie consensi sia di pubblico che di critica. Pochi anni dopo esce la sua seconda opera dal Titolo Vip – Mio fratello superuomo, distribuita nel 1968. Dopo tanti cortometraggi satirici (incentrati sulla popolare figura del Signor Rossi) torna al lungometraggio con quello che viene considerato il suo lavoro più ambizioso: Allegro ma non troppo (1977), ispirato al film d'animazione Disney Fantasia, un film realizzato con tecnica mista in cui gli episodi animati vengono plasmati sulle note di molti brani musicali di musica classica. Un altro animatore da non dimenticare è l'artista Pino Zac che dopo aver collaborato con Mauro Bolognini cura la parte animata nel mediometraggio Viaggio di lavoro, facente parte del film ad episodi Capriccio all'italiana (1968). Nel 1971 gira con tecnica mista Il Cavaliere inesistente, tratto dall'omonimo romanzo di Italo Calvino.
Negli anni novanta l'animazione italiana entra in una nuova fase produttiva grazie allo studio torinese Lanterna Magica che nel 1966, con la regia di Enzo D'alo, realizza la favola natalizia La freccia Azzurra, basata su un racconto di Gianni Rodari. Il film ottiene un buon successo e apre la strada, negli anni a venire ad altri lungometraggi. Infatti nel 1998, dopo due anni di lavoro, viene distribuito La gabbianella e il gatto tratto dal romanzo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepùlveda che attira i favori del pubblico. Il regista Enza D'Alò, separatosi dallo studio Lanterna Magica, produrrà negli anni seguenti altre pellicole come Momo alla conquista del tempo, Opopomoz. Lo studio torinese distribuisce dal canto suo le pellicole Aida degli alberi e Totò Sapore e la magica storia della pizza. Nel 2003 esce il primo film d'animazione in computer grafica di produzione interamente italiana dal titolo L'apetta Giulia e la Signora Vita, per la regia di Paolo Modugno. Da sottolineare l'opera La Storia di Leo, del regista Mario Cambi.
Nel 2010 giunge il primo film d'animazione italiano in tecnologia 3D, diretto da Igino Straffi, dal titolo Winx Club 3D – Magica Avventura, tratto dall'omonima serie che ha goduto di molta fama in tutto il mondo. Nel frattempo torna nelle sale Enzo D'Alò, presentando il suo Pinocchio. Nel 2012 ottiene credito presso il pubblico la pellicola Gladiatori di Roma, anch'esso girato in tecnologia 3D, seguito dal lungometraggio Winx Club – Il mistero degli abissi (2014).
Il Cinema Italiano
Accanto al cinema neorealista ed esistenziale degli autori, della commedia all'italiana e del cinema di denuncia sociale, a partire dal secondo dopoguerra, si sviluppa un cinema italiano più popolare che se da una parte viene snobbato e osteggiato dalla critica dall'altra viene accolto con entusiasmo da gran parte del pubblico, nazionale e internazionale.
Dopo aver toccato il proprio culmine negli anni sessanta e settanta del Novecento, il cinema di genere entra in declino a metà degli anni ottanta per due motivi principali: da una parte la grave crisi che colpisce tutto il cinema italiano e dall'altra l'affermazione della televisione commerciale, che in pochi anni priva le sale cinematografiche del suo pubblico abituale. Questo tipo di cinema è venuto ad affievolirsi e a scomparire all'inizio degli anni novanta. I generi cinematografici prodotti in Italia sono molteplici (variando a seconda dei decenni ) e molte volte si sono incrociati tra loro.
Melodramma
Fra la metà degli anni cinquanta si sviluppa il genere dei melodrammi popolari, detti strappalacrime. Rispetto ai drammi sentimentali dei decenni precedenti, i melodrammi girati nel secondo dopoguerra sono caratterizzati da ambientazioni più realistiche, abitate da una piccola borghesia all'alba del boom economico. Le esili trame sono spesso costruite attorno a giovani coppie unite dall'amore ma divise da ceti sociali di appartenenza, con particolare insistenza sulle sofferenze,le vessazioni e le rinunce che i personaggi sono costretti a subire. I melodrammi sono poco apprezzati dalla critica, che li considera alla stregua di fotoromanzi cinematografici, ma il successo di pubblico è immediato. Il regista principale del genere è Raffaello Matarazzo attivo già dai tempi del fascismo e prolifico autore di una serie di film interpretati da Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson, con i film, Catene (1949), Tormento (1950), I figli di nessuno (1951).
Di Matarazzo e da ricordare anche : Chi è senza peccato …. (1952),Torna! (1953), Vortice (1953),Giuseppe Verdi (1953), L'angelo Bianco (1955), La nave delle donne maledette (1953). Altri registi specializzati nel genere sono Guido Brignone, Duilio Coletti, Luigi Capuano,Gennaro Righelli, Carlo Campogalliani e Carmine Gallone, Riccardo Freda, Sergio Corbucci e Vittorio Cottafavi. Nel corso dei decenni il melodramma tenta di aggiornarsi ai gusti del pubblico. I film di questo periodo hanno come argomento storie di minori con genitori distaccati o in procinto di separarsi, destinati a morire per una disgrazia o una malattia. Altro filone cinematografico e il raccontare storie di coppie in crisi che ritrovano l'amore prima di separarsi da un destino avverso. Capostipite di questo genere è la pellicola Incompreso di Luigi Comencini (1966). La popolarità dei film dà il via a una serie di imitazione più o meno esplicite lungo tutti gli anni settanta. Tra i titoli maggior rilievo si ricordano: Anonimo Veneziano (1970) di Enrico Maria Salerno, Cuore (1973) di Romano Scavolini, L'ultima neve di primavera (1973), Bianchi cavalli d'agosto (1975) di Raimondo Del Balzo, Il venditore di Palloncini (1973) di Mario Gariazzo e L'albero delle foglie Rosa (1974) di Armando Nannuzzi. In questo genere va inserito il filone delle sceneggiate napoletane interpretate da un'autentica schiera di divi regionale come Mario Merola, tra i titoli più famosi, Zappatore (1980), Lacrime napulitane (1981), Carcerato (1981), i figli … so' pezzi 'e core (1981), tutti film diretti da Alfonso Brescia.
Peplum e Cappa e Spada
Peplum sono film ambientati nell'antichità con argomenti riguardanti a fatti mitologici o biblici. Il nome deriva da una parola greca che indica una specifica tunica femminile, abitualmente riprodotta da vari costumi di settore. Tra i titoli di maggiore successo troviamo: Ulisse (1954) di Mario Camerini,Le fatiche di Ercole (1958) di Pietro Francisci ed Ercole al centro della Terra (1961) di Mario Bava. Queste pellicole narrano le gesta di potenti eroi mitologici come Ercole, Golia, Maciste, Sansone, o Ursus,in lotta per liberare interi popoli da mostri o sovrani malvagi oppure con la missione di salvare fanciulle in pericolo. Interpretati da attori americani con esperienze da culturisti come Gordon Scott, Steve Reeves, Brad Harris. Le trame di questi film sono costruite su trame esili, il dialogo fuori sincronismo, la recitazione legnosa dei personaggi, unti dei primitivi effetti speciali hanno contribuito a etichettare queste opere come mere riproposizioni dei più abbienti Kolossal americani. Analogo al Peplum è il genere “cappa e spada” in cui si inseriscono film storici ambientati in epoca medievale o nel Rinascimento. Questi film narrano gesta di uomini e donne realmente esistiti, oppure vedono protagonisti i personaggi dalla narrativa avventurosa. La critica bolla questi generi come immensi spettacoli di cartapesta, promossi al puro scopo commerciale,volutamente privi di qualsiasi velleità artistica.
Film musicali
La cinematografia italiana risulta pressochè estranea al genere musical, che in maniera opposta ha avuto ampio richiamo negli Stati Uniti e in altri Paesi Europei. Tra i pochi film italiani ascrivibili al genere si può citare Carosello Napoletano (1953) di Ettore Giannini, interpretato dal cantante Giacomo Rondinella e da un'esordiente Sophia Loren. La pellicola è una visione cinematografica dell'omonima opera teatrale, presentata per la prima volta al Teatro La Pergola di Firenze il 14 aprile 1950 e successivamente al Teatro Quirino di Roma. Verso la fine degli anni cinquanta, si sviluppa con notevole fortuna il sottofilone dei cosiddetti film musicali, che prevedono l'ingaggio e la partecipazione di numerosi cantanti di musica leggera, con l'unico intento di trasformare gli artisti in autentiche star del grande schermo. Queste produzione (il più delle volte commedie a carattere sentimentale) vedono come protagonisti i cantanti italiani più in voga come Adriano Celentano, Mina, Little Tony, Rita Pavone,Gianni Morandi, Caterina Caselli, Iva Zanicchi, Domenico Modugno e Claudio Villa,i quali tra una sequenza e l'altra propongono le varie hits del momento. L'operazione si rivela un successo,consolidando la fama di molte voci italiane, sopratutto di Gianni Morandi e Rita Pavone, che più di tutti incarnavano l'allegria e la spensieratezza del mondo degli adolescenti. Tra i titoli più rappresentativi si ricordano: I ragazzi del Juke Box (1959) e Urlatori alla sbarra (1960) di Lucio Fulci, In ginocchio da Te (1964), di Ettore Maria Fizzarotti e Rita la Zanzara (1966) per la regia di Lina Wertmuller.
Film di Fantascienza
Il cinema italiano ha saputo esprimere un proprio filone di fantascienza, sebbene realizzato in maniera assai più artigianale rispetto a quello hollywoodiano. Tra i primi registi a cimentarsi nel genere si segnalano Paolo Heusch, con La morte viene dallo Spazio (1958) e Riccardo Freda con Caltiki, il mostro immortale (1959). Tra gli autori emerge sopratutto il regista Antonio Margheriti apripista di un genere che si distingue principalmente nell'ambito dell'avventura spaziale, quasi sempre sotto lo pseudonimo di Anthony M.Dawson è stato autore di numerosi film con budget limitati. Il suo lungometraggio dal Titolo Space Men (1960) è uno primi esempi di “space opera” del cinema italiano, cui seguono Il Pianeta degli uomini spenti (1961), Gamma Uno (composto da quattro film). Nonostante il livello degli effetti speciali a basso costo, le opere di Margheriti riescono a riscuotere una certa attenzione sia in Italia sia all'estero contribuendo all'espansione del filone. Tra i vari registi influenzati dalle opere di Margheriti troviamo Ubaldo Ragona, Carlo Ausino e Pietro Francisci. Il cineasta Mario Bava dirige il fanta-horror Terrore nello spazio (1965).Nello stesso periodo il cinema di fantascienza viene a incrociarsi con quello della satira sociale, offrendo in questo ambito alcuni contributi originali. Esempi di questo tipo sono il Disco Volante di Tinto Brass (1964), e la commedia fantapolitica Colpo di Stato (1969), diretta dal regista Luciano Salce. Eccezione rilevante è Nirvana (1997) di Gabriele Salvatores, un film che costituisce la produzione di fantascienza italiana più costosa e di maggiore successo commerciale. L'autore napoletano torna a testare il genere nel 2014 con il film drammatico – fantascientifico Il ragazzo invisibile.
Film Western
Sergio Leone è considerato il precursore del cinema western all'italiana. Dopo alcune esperienze come aiuto regista in varie produzioni americane debutta alla regia nel 1961 con i Il colosso di Rodi. Tre anni più tardi si dedica al genere western lanciando nelle sale il film Per un pugno di dollari (1964), seguito da Per qualche dollaro in più (1965) e da il Buono, il brutto, il cattivo (1966). Tutto ciò è rafforzato da uno stile registico perfettamente coadiuvato dalle colonne sonore di Ennio Morricone. Il successo per Sergio Leone continua con il Kolossal come C'era una volta il west (1968), Giù la testa (1971). Altro regista del filone western e Sergio Corbucci con Django, dove lancia come attore Franco Nero. Si ricordano altri film western : Duello nel Texas (1963), di Mario Caiano, Il grande silenzio (1969),Vamos a matar companeros (1970), La resa dei Conti (1966), Faccia a Faccia (1967), Una pistola per Ringo (1965), Il ritorno di Ringo (1966) e Viva Muerte … tua ! (1972) di Duccio Tessari, Arizona Colt (1966) di Michele Lupo, Sugar Colt (1966) di Franco Giraldi e Tepepa (1968) di Giulio Petroni. Al filone degli spaghetti western si ricollegano le commedie dei film comici, scritte e dirette dal regista Enzo Barboni (firmatosi sempre con lo pseudonimo di E.B.Clucher) e con protagonisti gli attori Bud Spencer e Terence Hill, i due film più importanti del duo, sono Lo chiamavano Trinità … (1970) e il seguito … continuavano a chiamarlo Trintà. Inoltre, il film del 1973 Il mio nome è Nessuno, per la regia di Tonino Valeri. La pellicola, prodotta da Sergio Leone e interpretata da Terence Hill e Henry Fonda, unisce l'epicità di opere come C'era una volta il West.
Film, Giallo, Thriller, horror
I registi italiani che si sono cimentati in queste produzioni sono spesso fonte d'ispirazione per un'intera schiera di cineasti internazionali tra i quali si ricordano: Brian De Palma, Tim Burton e Quentin Tarantino. I due autori di maggior rilievo son stati Mario Bava e Dario Argento. Bava direttore della fotografia passa alla regia, per creare film horror di qualità, rivelandosi, al tempo stesso, un notevole narratore di immagini, colto e raffinato. Il suo esordio La maschera del demonio (1960), la cui trama prende spunto dal racconto Il Vij di Nikolaj Vasil'evč Gogol che tratteggia la figura del vampiro in maniera inedita e originale, in aperta opposizione a quella dell'iconografia tradizionale. Dario Argento nei suoi film ha saputo utilizzare il montaggio e le colonne sonore del gruppo musicale dei Goblin. Film come L'uccello dalle piume di cristallo (1970), Profondo Rosso (1975), hanno imposto figure ampiamente riprese da tutto il thriller italiano e internazionale. Un altro Pioniere del cinema horror e Riccardo Freda, con i film I vampiri (1956), L'orribile segreto del dr. Hichcock (1962) e Lo spettro (1963). Da ricordare anche il regista Lucio Fulci con le opere Non si sevizia un paperino,Zombi 2, Paura nella città dei morti viventi, … e Tu vivrai nel terrore!, L'aldilà, Quella villa accanto al cimitero. Anche Pupi Avati realizza film horror come La casa delle finestre che ridono, Zeder.
Nel panorama cinematografico horror italiano vi sono altre opere come: L'ultimo uomo della terra di Ubaldo Ragona, Il profumo della signora in nero di Francesco Barilli, Lo strano vizio della signora Wardth di Sergio Martino, La casa sperduta nel parco di Ruggero Deodato, Autostop rosso sangue di Pasquale Festa Campanile, La corta notte delle bambole di vetro di Aldo Lado, Chi l'ha vista morire?, Cosa avete fatto a Solange? di Massimo Dallamano. Anche Lamberto Bava (figlio del regista Mario Bava), realizza numerosi film horror, tra cui : La casa con la scala nel buoi, Demoni, Demoni 2, … L'incubo ritorna, Morirai a mezzanotte. Anche Federico Fellini ha realizzato un film horror all'interno di un film ad episodi ( Tre passi nel delirio) ha realizzato l'episodio Toby Dammit.
Genere Splatter
Nel corso degli anni settanta il cinema horror sconfina più volte nel sottogenere splatter e nel gore, lasciando un proprio segno nell'immaginario cinematografico italiano.
Suscita interesse internazionale il genere “cannibalistico”, avviato da Umberto Lenzi con il film Il paese del sesso selvaggio. L'idea di ambientare storie horror / avventurose in scenari esotici e solari si rivela vincente sopratutto sotto il profilo commerciale,tanto da far sviluppare negli anni successivi un vero e proprio filone. Esempi ne sono La montagna del dio cannibale, di Sergio Martino e Mangiati vivi, Cannibal Ferox e Incubo sulla città contaminata di Umberto Lenzi, Emanuelle e gli ultimi cannibali e Antropophagus,di Joe D'Amato Zombi Holocaust,di Marino Girolami,e Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato, quest'ultimo condannato per le numerose scene di violenza impartita realmente sugli animali, condannato e sequestrato più volte è tornato nuovamente in circolazione con appositi tagli di censura. Un altro film dove vengono mostrate anche delle crudeltà e violenza è Mondo Cane (1961), diretto da Gualtiero Jacopetti, Paolo Cavara e Franco Prosperi che ha riscosso un successo internazionale. Negli ottanta in Italia vengono prodotte decine di pellicole trhiller /horror di bassa qualità, gli scarsi mezzi produttivi e la regia approssimata con una scarsa sceneggiatura e cast di attori non professionisti, non ha impedito a tali film di avere una schiera di estimatori, diventando dei film CULT.
Poliziesco all'italiana
Altro genere di successo è il cosiddetto poliziesco all'italiana, in cui vengono tratte storie di poliziotti o commissari dai metodi poco ortodossi, talvolta non tanto differenti da quelli dei loro antagonisti. Codeste figure sono spesso alle prese con delinquenti, terroristi e organizzatori criminali e agiscono sullo sfondo delle principali città italiane come Roma, Milano,Napoli, Torino. Protagonisti di questi lungometraggi possono essere, altresì, normali cittadini, sovente vittime di episodi criminosi che, di fronte all'inefficienza e alla lentezza della giustizia agiscono in solitudine, divenendo una sorta di vendicatori in lotta conto il crimine. I film in questione, carichi di azione, inseguimenti e scene violente, hanno evidenti richiami a fatti di cronaca nera. La larga diffusione del poliziesco ha generato nel pubblico un forte consenso emotivo, spingendo numerosi registi a intraprendere la strada del cinema del genere. Al contrario la critica tende, fi n da subito a ridimensionare la portata del fenomeno nonché la qualità artistica di tali prodotti, denigrandone esplicitamente i contenuti spesso bollati come qualunquisti se non addirittura eversivi. La diffusione del poliziesco sia mutata dall'esplosione precedente del genere western, di cui in parte ne riprende stili e contenuti. A mutare è solo il paesaggio che vira bruscamente dal mondo rurale ai bassifondi urbani dove la continua lotta tra bene e male non è altro che una moderna riproposizione dei tipici duelli in salsa western. Tale genere diviene dunque, il naturale erede del western all'italiana, dove atmosfere e situazioni tipiche, dei fuorilegge e degli sceriffi vengono abilmente calate nel contesto moderno. La critica individua nel film Banditi a Milano, per la regia di Carlo Lizzani. L'opera prende spunto dalle imprese criminali della banda Cavallero in Lombardia. Uno dei principali artefici della fortuna del poliziesco italiano è senz'altro Fernando Di Leo che in più occasioni, con film come Milano calibro 9 (1972), La mala ordina, Il Boss. Un altro sotto filone comico che viene realizzato attorno al cinema poliziesco all'italiana sono i film che vedono come protagonista il commissario Nico Giraldi, interpretato da Tomas Milian, il commissario Rizzo detto Piedone con Bud Spencer.
Film spionistico
Il genere spionistico fa la sua comparsa nel cinema italiano tra la metà degli anni sessanta e la metà dei settanta, raggiungendo il suo culmine tra il 1965 e il 1967 con l'uscita di oltre cinquanta film fanta – spionistici, tutti di poche pretese e realizzate sull'onda del successo mondiale conseguito dalle pellicole di James Bond (all'epoca interpretato da Sean Connery).Questa serie di film (realizzati sempre in tempi brevissimi e a basso costo), si propongono di ricreare situazioni e azioni che vedono come protagonisti agenti segreti in lotta contro organizzazioni terroristiche o talvolta contro scienziati con deviazioni comportamentali, che spesso detengono per fini eversivi ordigni o armi apocalittiche. I protagonista di turno hanno il compito di ricalcare la figura dell'agente James Bond, con anch'essi annessa la notoria sigla 007 o declinata in altri numeri come 008 / 009 / ecc.. .Per la scelta del cast femminile sono state ingaggiate spesso attrici di fama,che in precedenza avevano lavorato in film spionistici americani ad alto budget e sicuro successo. Proprio come lo spaghetti western e il poliziesco,anche questo genere ha partorito un rito sotto filone comico, parodistico, in voga specialmente negli anni sessanta come evince nel film Le spie che vengono dal semifreddo, del regista Mario Bava. La realizzazione della pellicola ha coinvolto una coproduzione Italia -Usa, in cui recita la coppia comica Franco Fanchi e Ciccio Ingrassia insieme all'attore Vincet Price. Non mancano le parodie aventi come protagonista l'agente James Tont interpretate da Lando Buzzanca, e la simpatica caricatura del Super Agente Flit impersonato dal comico Raimondo Vianello.
Film di Guerra
Il cinema di guerra è già attivo negli Stati Uniti negli anni cinquanta, conosce una certa popolarità alla fine degli anni sessanta, con attori non professionisti. Il soggetto e la sceneggiatura si ispirano in gran parte a scene di guerra realmente accadute o, in alcuni casi semplicemente immaginarie ed hanno come ambientazione luoghi desertici o esotici come l'America Latina, L'Asia o il Medio Oriente. Durante gli anni ottanta si assiste a una vertiginosa produzione di opere belliche, spesso con il palese intento di omaggiare film statunitensi più costosi come Papillon (1973, Apcalypse Now,1979,Rambo 1982). Tra i registi che si sono distinti in questo genere troviamo: Enzo G. Castellari, Umberto Lenzi, Joe D'Amato, Claudio Fragassso, Bruno Mattei, Fabrizio De Angelis, Camillo Teti, Armando Crispino, Ignazio Dolce e Antonio Margheriti, mentre tra gli attori ricorrenti si ricorda l'attore Klaus Kinski. Il film più famoso del genere è Quel maledetto treno blindato di Enzo. G. Castellari (1978).
Cinema erotico
All'interno del cinema erotico italiano un caso a parte rappresenta l'attività del regista veneziano Tinto Brass, assistente di maestri quali Roberto Rossellini e Joris Ivens intraprendere la carriera di regista con il lungometraggio In capo al mondo (1963) a cui segue Chi lavora è perduto (1963). Durante gli anni settanta dirige alcune eccentriche produzioni con Salon Kitty, Io e Caligola. Negli anni successivi la produzione di Tinto Brass vira verso il cinema erotico, lanciando di volta in volta un numero cospicuo di attrici emergenti. Tra i suoi film di maggior successo si ricordano: Miranda, Capriccio, Paprika,Così fan tutte. Alla fine degli anni settanta il mercato italiano e invaso da pellicole softcore come Seduzione di Ferdinando Leo, Malizia (1973) di Salvatore Samperi, trampolino di lancio dell'attrice Istriana Laura Antonelli. Negli anni settanta l'allentarsi della censura, la degenerazione del gusto e sopratutto la ricerca del successo commerciale mediante investimenti di modesta entità permettono lo sviluppo, accanto alla più autoriale commedia della commedia sexy all'italiana. Trame, sceneggiature e dialoghi, fanno da pretesto per sviluppare pellicole a sfondo più o meno erotico e dal puro disimpengno. A questo genere di film hanno legato la propria popolarità attori come Lando Buzzanca, Lino Banfi, Gianfranco D'Angleo, Renzo Montagnari, Pippo Franco, Alvaro Vitali, Enzo Cannavale, Nadia Cassini, Gloria Guida, Barbara Bouchet, Edwinge Fenech, Carmen Villani, Anna Maria Rizzoli e Lilli Carati. All'interno di tale categoria vengono annoverati i film come protagonista la maschera di Pierino, che riprende il personaggio letterario Gian Brurrasca. Personaggi presenti all'epoca della commedia sexy sono divenuti nel tempo popolari: Ennio Antonelli, Giorgio Ariani, Giacomo Rizzo, Salvatore Baccaro, Franco Lechner ( in arte Bombolo), Nino Terzo, Luigi Origene Sofrano (Jimmy il Fenomeno).
Crisi cinematografica degli anni ottanta
Si tratta di un processo fisiologico, che investe nello stesso periodo altri Paesi dalla grande tradizione cinematografica come il Giappone, la Gran Bretagna, e la Francia. Tramonta l'era dei produttori: Carlo Ponti e Dino De Laurentis, Goffredo Lambardo, Franco Cristaldi.
La crisi colpisce il cinema, in virtù dell'affermazione della televisione commerciale che priva il cinema del suo pubblico. Di conseguenza le sale si trovano a essere monopolizzate dalle più abbienti pellicole hollywoodiane, che prendono stabilmente il sopravvento.
Molte sale chiudono e altre per sopravvivere inseriscono nella loro programmazione cinematografica film a luci rosse. Molte grandi personalità del cinema italiano scompaiono: da Vittorio De Sica a Pietro Germi, Paolo Pasolini a Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Elio Pietri e Valerio Zurlini. Alcuni film ottengono agevolazione della Legge 1213 del 1965 che stanzia fondi pubblici per la produzione (creando l'Italnoleggio). Il debutto più eclatante di questa nuova fase è quello di Nanni Moretti, che nel 1976 gira in super 8 il lungometraggio Io sono un autarchico, libera commedia di sinistra del dopo sessantotto, sulla pellicola borghesia romana e sulle mode del ceto medio giovanile. Il film è un grande successo di pubblico e fa Moretti il massimo esponente del cinema giovane in contrasto con il cinema dominante. I film successivi ricorrono a una struttura narrativa più solida per mettere in scena incertezze di personaggi incapaci di adattarsi alla società che li circonda: è il caso del giallo esistenziale Bianca (1984), e del drammatico La messa è finita (1985), il decennio di Moretti si chiude con il film più complessi e apprezzati, Palombella Rossa, film sulla difficile trasformazione della sinistra italiana alla vigilia del PCI . Tra i vari esponenti del cinema giovane si ricordano, Paolo Pietrangeli con Porci con le ali, Salvatore Piscicelli con Immacolata e Concetta, l'altra gelosia, Peter Del Monte con Invito al Viaggio (1982), Claudio Caligari con Amore tossico (1983).
Cinema comico
La nuova commedia, rappresenta artisti emergenti per gli anni ottanta, il primo a mettersi in evidenza è Roberto Benigni con Berglinguer ti voglio bene. In seguito, senza Benigni si fa dirigere da Marco Ferreri in Chiedo Asilo, da Federico Fellini nella Voce della Luna, 1990 da Blake Edwards nel Il Figlio della pantera rosa, 1993, diventerà regista dei propri film con Johnny Stecchino, Il mostro, Il piccolo Diavolo e La vita è bella. Maurizio Nichetti proveniente dal teatro e dal cinema di animazione aggiorna il registro delle comiche mute nei film Ho fatto splash, Ratataplan, Ladri di saponette, Volere Volare. Su un versante più tradizionale Carlo Verdone propone Un Sacco Bello, Bianco Rosso e Verdone, Compagni di Scuola, Maledetto il giorno che ti ho incontrato, Perdiamo di vista. L'artista Massimo Troisi rinnova la comicità napoletana con Ricomincio da tre, Scusate il ritardo, Le vie del Signore sono finite. Dopo aver recitato in pellicole altrui, Francesco Nuti esordisce alla regia con Casablanca, Casablanca, Tutta colpa del paradiso, Caruso Pascoski di padre polacco, Willy Signori e vengo da lontano. Molti comici provenienti dalla televisione e dal cabaret avranno grande popolarità del decennio,sostituendo i caratteristi della commedia erotica, come Renato Pozzetto, Enrico Montesano, Massimo Boldi, Christian De Sica, Diego Abatantuono. I registi di riferimento di queste produzioni sono Castellano e Pipolo, Carlo Vanzina, che lancerà svariati filoni di successo (Vacanze di Natale, Via Montenapoleone, Sapore di mare, Sotto il vestito niente). Nasce una figura inedita nel cinema italiano, il filmaker, che cura personalmente l'iter procedurale di un film (dalla scrittura alla fotografia, dalla regia al montaggio), spesso realizza video con capitali esigui. L'emergere di questa figura, ha aumentato l'accesso alle professioni intellettuali e artistiche. Il gruppo di registi comprende Massimo Mazzucco, il video artista Paolo Rosa, (L'osservatorio nucleare del Signor Nanof, 1985), Giancarlo Soldi (Polsi sottili, 1985), L'aria serena dell'ovest. A Milano è attivo Gabriele Salvatores che porta al cinema la sua esperienza teatrale in Sogno di notte d'estate, Kamikazen, Ultima notte a Milano. In questo contesto passa al Cinema Daniele Segre, già fotografo militante, con documentari di argomento sociale spesso realizzati per la RAI e due film a soggetto, Testadura, Manila paloma blanca. Il Festival di Bellaria raccoglie una produzione indipendente in crescita grazie alla diffusione della tecnologia video, mentre a Bassano del Grappa Ermanno Olmi organizza la scuola Ipotesi Cinema, frequentata da Maurizio Zaccaro e Giacomo Campiotti. Anche il ramo Italiano della Gaumont è attivo nel supporto agli esordienti, ma il fallimento precoce impedisce esiti di rilievo.
I nuovi registi
Altri registi debuttano in sordina, ma sono destinati a lasciare segni più duraturi negli anni successivi. Marco Tullio Giordana dirige nel 1979 Maledetti vi amerò, che insieme alla Caduta degli angeli ribelli, indaga nel mondo dell'estrema sinistra nel periodo del riflusso.
Negli anni seguenti torna al cinema solo occasionalmente dedicandosi al cinema sociale con Appuntamento a Liverpool e con Pasolini, un delitto italiano. L'altro importante esordio del decennio è quello di Gianni Amelio, che dopo anni di cortometraggi e documentari per la Rai gira Colpire al Cuore, uno dei rari film sul terrorismo, seguito dai I Ragazzi di Via Panisperna (1988). Marco Risi dirige alcuni film comici interpretati da Jerry Calà, per poi cambiare genere con Soldati 365 giorni all'alba, Mery per sempre, Ragazzi fuori.
Altri registi che meritano di essere ricordati sono Francesca Comencini con Pianoforte e Carlo Mazzacurati con Notte Italiana. Va citato Franco Piavoli, che pur non essendo mai entrato nel mondo del cinema professionale ha lasciato testimonianze di grande importanza. Dopo aver realizzato alcuni documentari negli anni sessanta, esordisce nel lungometraggio con il Pianeta azzurro, un'originale meditazione sui cicli della natura che piega i codici del documentario verso una forma poetica, il talento del regista è confermato da Nostos, Il ritorno,inedita interpretazione del mito di Ulisse che si trasforma in un'esplorazione dell'ignoto, e da Voci nel tempo (1996), affresco visivo sonoro sulle stagioni della natura e della vita. Oltre alle varie pellicole di Gianni Amelio, si afferma il cinema del regista siciliano Giuseppe Tornatore, con la pellicola Il Camorrista (1986), Nuovo Cinema Paradiso. Nel 1995 dirige L'uomo delle stelle, aggiudicandosi il Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia. Dopo una serie di film quali La leggenda il pianista sull'oceano, Malèna, La sconosciuta, Baarià.
Gabriele Salvatores nel 1989 dirige Marrakech Express, Turnè, Mediterraneo, Puerto Escondidto. Negli anni novanta l'ultima fatica di Fellini (La voce della luna 1990). Nel 1992 Mario Martone dopo aver esordito con Foresta Nera, arriva al grande pubblico con Morte di un matematico napoletano, che gli vale il Gran Premio della giuria alla Mostra di Venezia. Negli anni novanta si sviluppa un filone cinematografico neorealista ampiamente aperto vero tematiche civili dell'attualità, come i film Ultrà (1991), incentrato sulla violenza delle tifoserie calcistiche, La scorta (1993) ispirato alle stragi mafiose siciliane, tutti diretti da Ricky Tognazzi. Da non dimenticare anche Teste Rasate un film di Claudio Fragasso, violento ritratto dell'ambiente Skinhead e neonazista, Il giudice ragazzino (1993), di Alessandro Di Robilant e Poliziotti, diretto dall'attore e regista Giulio Base, Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara, film che ripercorre gli ultimi giorni di vita dei magistrati siciliani Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, interpretati da Michele Placido e Giancarlo Giannini. Si sviluppa il cinema di Pasquale Pozzessere, con il film Verso sud, con inquadrature che rimandano al cinema di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini.
Da citare tra i registi anche Fulvio Ottaviano per il film Cresceranno i carciofi a Mimongo, Alessandro D'Alatri che debutta con il film Americano Rosso. Dopo una lunga gavetta televisiva come scenografo, esordisce nel mondo del cinema il regista e pittore Antonio Capuano. Nel lungometraggio Vito e gli altri (1991), l'autore filma con sprezzante coraggio la cruda e difficile situazione delinquenziale dei minorenni napoletani. Seguono Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, Polvere di Napoli e la guerra di Mario che tratta con finezza psicologica una storia d'amore contrastato tra una madre e un figlio. Dopo un lungo periodo di apprendistato come aiuto regista di Luigi Comencini, Maurizio Sciarra realizza il suo primo lungometraggio denominato, La stanza dello Scirocco, quattro anni dopo nel 2011 riceve il Pardo d'oro al Festival di Locarno per il film Alla rivoluzione sulla due cavalli.
Inoltre,raggiunge il grande pubblico il cinema di Giuseppe Piccioni, che con il suo quinto lungometraggio dal titolo Fuori dal mondo, riceve nel 1999 una candidatura agli Oscar come miglior film straniero. Si menziona l'operato di due cineasti sperimentali Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, che oltre trent'anni di carriera, hanno presentato documentari inerenti ai tragici fatti del primo conflitto mondiale. Pressochè sconosciuti in Italia, hanno incontrato, a partire dagli anni novanta stima e apprezzamenti in molti festival europei, tra i loro film più noti si riportano: Uomini anni vita, film incentrato sul massacro degli armeni. Nella prima metà degli anni novanta ricevono consensi Alessandro Benvenuti con Benvenuti in casa Gori, Massimo Troisi con Pensavo fosse amore …. invece era un calesse, Lina Wertmuller, con Io speriamo che me la cavo e Carlo Verdone con Maledetto il giorno che ti ho incontrato e Viaggio di Nozze. Si afferma il cinema di Daniele Luchetti, costantemente diviso fra la classica commedia e un matura attenzione all'impegno civile.
Fra le sue opere più significative si ricordano: Il portaborse, La scuola, I piccoli maestri,Mio fratello e figlio unico. Verso gli anni novanta la critica e le grottesche messe in onda dei registi siciliani Ciprì e Maresco mettono a frutto l'esperienza televisiva di Cinico Tv nel film Lo zio di Brooklyn e successivamente Totò che visse due volte, Noi e il Duca – quando Duke Ellington suonò a Palermo. Alla fine degli anni ottanta debutta dietro la macchina da presa la cineasta Francesca Archibugi con la commedia Mignon è partita, che vede protagonista Stefania Sandrelli. Dopo la pellicola Verso Sera, dirige nel 1993 Il grande cocomero. In quest'opera la Archibugi affronta il difficile tema della neuropsichiatria infantile, ispirandosi a un saggio dello psichiatra Marco Lombardo Radice e alle sue esperienze nel reparto di Via Sabelli a Roma. Inoltre prende campo il regista Carlo Mazzacurati che con il lungometraggio il Toro riceve un Leone d'argento al Festival di Venezia. Verso la fine degli ottanta si affaccia una nuova schiera di attori e registi, Sergio Castellitto, Silvio Orlando, Sergio Rubini, Fabrizio Bentivoglio, Laura Morante, Anna Bonaiuto, Francesca Neri, Monica Bellucci,Alessandro Haber, Magherita Buy, Valeria Golino.
Nel settembre del 1994 esce nelle sale cinematografiche il film Il postino, diretto da Micheal Radford e interpretato da Massimo Troisi. Il film, tratto dal romanzo Ardiente Paciencia (1996) del cileno Antonio Skàrmeta, rappresenta il testamento artistico dell'attore campano che centra l'obbiettivo di rinverdire la tradizione alta della commedia in Italia che all'estero ottenendo 5 candidature all'oscar nel 1996. Massimo Troisi muore dodici giorni dopo la fine delle riprese.
Il cinema d'autore
Il cinema d'autore ritrova la propria identità grazie a una nutrita schiera di cineasti.
Oltre al successo ottenuto da Nanni Moretti al Festival di Cannes per La Stanza del figlio, recupera nuova linfa creativa il cinema di Marco Bellocchio. Definitivamente archiviata la sua discussa collaborazione con lo psicanalista Fagioli, con cui produce due lungometraggi : L'ora di religione e Buongiorno, notte dedicato al rapimento di Aldo Moro che senza offrirci ricostruzioni storiche carica il film di grande inventiva espressiva, ampiamente mostrata nelle sequenze finali che prevedono una fantasiosa liberazione dello statista democristiano. Giunge a piena maturità artistica il cinema di Pupi Avati che fin dagli anni settanta ha alternato con intelligenza cinematografica pellicole vicine alla commedia a vere e proprie incursioni nel genere horror. A partire dal film Regalo di Natale, Papà di Giovanna e Gli amici del Bar Margherita. Da ricordare Mario Monicelli che novantenne firma la regia del suo ultimo film a soggetto Le rose del deserto. Lo stesso Michelangelo Antonioni, dopo 10 anni di silenzio torna alla regia nel film a episodi Eros. Grande successo per Cristina Comencini, figlia del regista Luigi Comencini che debutta con la pellicola La bestia nel cuore. Il regista italo-turco Ferzan Özpetek ottiene successo dirigendo film imperniati sulle difficoltà di coppia, l'elaborazione del lutto e la condizione omosessuale tutte tematiche rintracciabili in lavori come Il Bagno Turco, Le fate ignoranti, La finestra di fronte, Cuore sacro, Saturno contro. Trovano,inoltre consenso presso il pubblico alcuni film sentimentali dal carattere adolescenziale, alcuni dei quali girati dal regista romano Gabriele Muccino. Tra i suoi titoli più significativi si ricordano: L'ultimo bacio, Ricordati di me e il più maturo la ricerca della felicità, interpretato da Will Smith.
Bibliografia
Gian Piero Brunetta, Cent'anni di cinema italiano, Laterza, Roma – Bari, 1991. ISBN 88-420-3851-2
Fiorangelo Pucci,Valerio Angelini, 1896 – 1914. Materiali per una storia del cinema della origini, Studioforma Editore, Torino, 1981
Lorenzo Quaglietti, Storia economico – politica del cinema italiano, 1945 – 1980, Editori Riuniti, Roma, 1980.
F.Di Giammatteo, Dizionario del Cinema Italiano, Editori Riuniti, Roma, 1995