Giuseppe Barison
( Trieste, 5 dicembre 1853 – 7 gennaio 1931 )
L’artista nacque a Trieste da Francesco, di professione sarto e Caterina Frusin. Notato sin da giovane per le capacità nel disegno, fu sostenuto dalla nobile Anna De Rin la quale, lo avviò dapprima all’arte frequentando lo studio del pittore Karl Emil Haase a Trieste ed in seguito gli permise di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Vienna. Qui a partire dal 1872 Barison prese a seguire le lezione di Karl von Blaas, Eduard Von Engerth e soprattutto di August Einsenmenger che accostò il giovane alla pittura di storia. Tornato a Trieste nel 1876 egli si impose l’anno seguente, nel 1877, partecipando alla Nona Esposizione di Belle Arti con il dipinto a carattere storico Isabelle a Orsini e il suo paggio che gli consentì di ottenere dal Comune di Trieste un ricco pensionato da poter usufruire per due anni a Roma. Barison giunse nella città eterna fissando su carte e tele i luoghi che andava visitando e che aveva visto nelle opere del suo primo maestro a Trieste, Karl Haase. Eppure la tela, sebbene anacronistica, vede Barison sganciarsi da un rigido accademismo e aprirsi, se pur timidamente, ad ariorsi scorci naturalistici. Conclusa l’amara parentesi romana, egli tornò a Trieste ed iniziò a dedicarsi a quello che fu indubbiamente il pezzo forte del suo repertorio pittorico, vale a dire il ritratto; un genere, questo, che egli consentì non solo di esprimersi al meglio ma di sostenersi economicamente. Eppure la parentesi romana aveva lasciato qualcosa di buono nel pittore; egli infatti aveva capito di doversi sintonizzare sulle nuove tendenze artistiche dell’epoca.
Si indirizzò quindi verso Venezia e la pittura di Giacomo Favretto che lo influenzò in modo decisivo. Iniziò a partecipare alle esposizione organizzate dalla Società Veneta Promotrice di Belle Arti a partire dal 1880 e copiò il Farmacista del maestro veneziano oltre a carpire i segreti di quella tradizione coloristica veneziana, mai passata di moda. Prima di trasferirsi in pianta stabile a Venezia, però, egli si era innamorato di Giulia Rosa Desman una ragazza di famiglia alto borghese di Trieste; nonostante la diversità di ceto egli sposò nel 1883 e ne fu legato con estremo affetto sino alla morte, avvenuta, per Giulia, nel 1926.
Domiciliato a Venezia, dove rimane sino al 1887 si dedicò alla pittura di genere riportando notevoli successi, anche di critica che sfociarono nel 1886 in occasione della mostra di Brera a Milano con la Pescheria a Rialto. Il dipinto vinse il premio Principe Umberto ma, a causa della nazionalità non italiana di Barison, venne revocato. Ma al di là dell’increscioso episodio, la tavolozza di Barison si era arricchita tra le lagune, aveva trovato nuova linfa e una sua connotazione bene precisa tra i pittori veneziani. Tuttavia la moglie Giulia, che poco si era ambientata a Venezia e già aveva dato a Giuseppe ben tre figli (Arnaldo, Cesare ed Ester) chiese al marito di rientrare a Trieste e Barison acconsentì. Tornò dunque a Trieste, accolto dai circoli artistici con rispetto ma anche con certa freddezza, dovuta in parte al suo carattere certo non facile e malleabile ed in parte al suo carattere certo non facile e malleabile ed in parte da questa sua dichiarata pittura veneziana. Barison fu colpito da un quadro di Michele Cammarano dal titolo La Rissa, caratterizzato da accenti patetici, un forte dinamismo e una assoluta teatralità nei gesti, l’altro, del genovese Nicolò Barabino dal titolo Quasi oliva speciosa, dal forte impatto sacrale rivisto in chiave simbolista che diede il la per il capolavoro nella produzione di Giuseppe Barison. La rissa venne ripreso poco tempo dopo l’esposizione veneziana da Barison e tramutata in Dopo una Rissa, mentre Quasi oliva spiciosa in campis vide una sua personale e poetica versione nel 1899, a distanza di ben dodici anni. La tela che ha rivisto la luce con il volume edito dalla Fondazione Casa di Risparmio si presenta dentro una ricca e monumentale cornice dell’epoca intagliata e dipinto dallo steso Barison trova nelle parole di introduzione del professor Giuseppe Pavanello la giusta descrizione “sospesa fra realtà e idealità, da cui si sprigiona l’incanto, o meglio, l’incantesimo dell’apparizione divina, accostante e al tempo stesso, ieratica”.
Nel 1912 realizza i pannelli per la Cassa di Risparmio di Trieste raffiguranti I Costruttori e I Mercanti. Barison dal 1915 al 1918 soggiornò in Liguria in casa del genero Roberto Amandi e della figlia Ester e iniziò ad accostarsi con continuità alla pittura di paesaggio e di marine. Nel 1926 muore Giulia sua moglie questo diede un notevole cambiamento nel modo di lavorare di Barison che su volere dei suoi figli non abbandonò del tutto la pittura; gli ultimi ritratti mostrano chiaramente solo l’ombra del grande mestierante quale fu alla fine dell’Ottocento, un secolo che non aveva mai abbandonato.
Bibliografia
Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1964