Giuseppe Barison
(Trieste, 5 settembre 1853 – 7 gennaio 1931)
Il padre Francesco, di professione sarto, e Caterina Frausin. Da giovane viene notato per le sue capacità artistiche, viene sostenuto negli studi dalla nobile Anna De Rin che gli fa frequentare lo studio del pittore Karl Emil Haase e in seguito l'Accademia di Belle Arti di Vienna, così, a partire dal 1872, Barison segue le lezioni di Karl von Blaas, Eduard Von Engerth e in particolar modo di August Eisenmenger che accostò il giovane alla pittura di storia. Torna a Trieste nel 1876, dopo un anno si afferma partecipando alla Nona Esposizione di Belle Arti con il dipinto Isabella Orsini e il suo Paggio che gli consente di ottenere dal Comune di Trieste un ricco pensionato da poter usufruire per due anni a Roma. Il soggiorno romano non è proficuo a causa delle critiche sul dipinto Muzio Attendolo detto lo Sforza che si accaniscono sulla postura del cavallo definita non naturale. Ritorna a Trieste e inizia ad occuparsi di ritratti. L’esperienza di Roma gli fa capire di doversi dirigere verso le nuove tendenze artistiche dell’epoca, quindi si indirizza verso la pittura di Giacomo Favretto, trasferendosi a Venezia. Dal 1880, inizia a partecipare alle esposizioni organizzate dalla Società Veneta Promotrice di Belle Arti e copia il farmacista del maestro veneziano, oltre a carpire i segreti della tradizione coloristica veneziana.
Nel 1883, si sposa con Giulia Rosa Desman, che gli dà tre figli (Arnaldo, Cesare ed Ester).
A Venezia si dedica alla pittura di genere riportando notevoli successi, anche di critica che, nel 1886, sfociano in occasione della mostra di Brera a Milano con Pescheria di Rialto (Alessandria, Pinacoteca Civica); il dipinto vince il premio “Principe Umberto” ma, a causa della nazionalità non italiana di Barison, gli viene revocato. All’Esposizione Nazionale di Venezia del 1887, ha l’opportunità di vedere alcuni dipinti di primo piano nel panorama artistico italiano dell'epoca; lo colpiscono due quadri in particolar modo: uno, del napoletano Michele Cammarano intitolato La Rissa, caratterizzato da accenti patetici, un forte dinamismo e da un’assoluta teatralità nei gesti; l'altro, del genovese Nicolò Barabino intitolato Quasi Oliva Speciosa, dal forte impatto sacrale rivisto in chiave simbolista che ha darà il “la” per il capolavoro nella produzione di Giuseppe Barison.
Il dipinto La Rissa viene ripreso poco tempo dopo l'esposizione veneziana da Barison e tramutata in Dopo una Rissa, mentre, a distanza di dodici anni, Quasi Oliva Speciosa vede una sua personale e poetica versione e diventa Campis e la depone in una cornice intagliata e dipinta da lui stesso. Questa tela viene descritta “a pennello” in un’introduzione del professor Giuseppe Pavanello nel volume edito dalla Fondazione Cassa di Risparmio: “sospesa fra realtà e idealità, da cui si sprigiona l'incanto, o, meglio, l'incantesimo dell'apparizione divina, accostante e, al tempo stesso, ieratica”.
Realizzare i pannelli per la Cassa di Risparmio di Trieste, nel 1912, raffiguranti I Costruttori (in cui spicca in primo piano il suo autoritratto caratterizzato dalla veste rossa svolazzante) e I Mercanti, egli non ha più quella forza di fine XIX secolo. I cavalli sono i protagonisti indiscussi delle sue tele nei primi del secolo, realizzati con estrema cura e meticolosità come nel dipinto Antica Canzone che, sebbene utilizzati a cornice del dipinto, divengono il fulcro della composizione facendo finire la scena degli innamorati in secondo piano. Molti i dipinti rintracciati di formato fortemente verticale di tale filone che, con ogni probabilità, permettevano a Barison di creare quell'effetto della corsa a cavallo in maniera il più possibile veritiera.
I suoi dipinti parteciparono a molte mostre, tra cui Berlino (1884 e 1886), Vienna (1888) e Monaco di Baviera (1888, 1900, 1901 e 1907).
Dal 1915 al 1918, a causa dell’avvento della Prima Guerra Mondiale e costretto a spostarsi in casa del genero Roberto Amadi e della figlia Ester a Pegli, in Liguria, ed inizia ad accostarsi con continuità alla pittura di paesaggio e di marine. Nel raffigurare il mare di Trieste riesce a raggiungere a volte un gusto post-impressionista come ben evidenziano le ultime ed estreme tavole realizzate “en plein air”; una volta a settimana Barison chiude lo studio e si reca con i pennelli e queste piccole tavole in giro per la città posizionandosi ore ed ore nell'attesa di vedere con un particolare effetto luministico un'immagine nuova di Trieste e del suo mare. In questi ultimi anni Barison non ha chiuso del tutto le porte alle nuove istanze pittoriche ben esemplificate dai dipinti di Umberto Veruda (che aveva avuto modo di ritrarre Giuseppe nella sua breve esistenza) che, sebbene superato, faceva ancora presa per quella sua pittura sfarfallante “alla Boldini” e contraddistinta da larghe campiture di colore; ne sono un chiaro esempio l'Autoritratto del 1925 ed il Ritratto di Donna (Trieste, collezione privata) creduto proprio di mano di Veruda.
La morte di sua moglie Giulia, nel 1926, stronca radicalmente la vena artistica di Barison che per volere dei figli non abbandona del tutto la pittura.
Opere
Isabella Orsini e il suo Paggio, 1877
Muzio Attendolo Sforza, 1879
Un Dono del Fidanzato, 1882
La Pescheria di Rialto, 1885
Dopo una Rissa, 1887
Rappresentazione in Famiglia, 1887
L’Anello di Fidanzamento, 1888
Cronaca Allegra, 1888
Campis, 1899
I Costruttori, pannello, 1912
I Mercanti, pannello, 1912
Antica Canzone
Autoritratto, 1925
Ritratto di Donna
Bragozzi al largo
Bibliografia
Salvatore Sibilia, Pittori e Scultori di Trieste, L’Eroica, Milano, 1922
Mostra postuma di Giuseppe Barison, catalogo della mostra, Trieste, 1931
Anna Maria Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, Luigi Patuzzi Editore, Milano, 1962
Remigio Marini (a cura di), Barison Giuseppe in Dizionario Biografico degli Italiani, VI, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1964
Claudio H. Martelli, Dizionario degli Artisti di Trieste, dell'Isontino dell'Istria e della Dalmazia, Hammerle Editori in Trieste, Trieste, 1970
Matteo Gardonio, Giuseppe Barison, Fondazione CR, Trieste, 2006