Filippo Palizzi
( Vasto, 16 giugno 1818 – Napoli, 11 settembre 1899 )
Nacque a Vasto il 16 giungo 1818 da Antonio Palizzi e Doralice Del Greco, quinto di nove figli, tutti portati per l’arte ( tranne Camillo appassionato di meccanica). Il padre fu avvocato e poi impiegato, oltre che insegnante di lettere e cercò più volte di indirizzare i figli verso lo studio. Il clima in casa Palizzi era simile a quella di una grande officina, dove si esercitavano scultura, pittura, meccanica e altre attività. E’ lo stesso Filippo a raccontare dei numerosi scatti d’ira del padre, che tuttavia non riuscivano mai a tenere lontani i fratelli dalle loro operose attività. Importante nella formazione dei fratelli Palizzi fu anche uno zio materno, che conduceva spesso i ragazzi a far visita a un artista popolare, scultore di presepi, il quale ebbe senz’altro un grande impatto sulla giovane mente del Palizzi. Nel 1836 Filippo potè raggiungere il fratello Giuseppe a Napoli grazie alla domanda del padre al Consiglio Provinciale di Chieti, il quale l’anno seguente dispose un sussidio di 8 ducati al mese e l’ammissione alla Reale Accademia dei Belle Arti. Quando Filippo arrivò all’ Accademia la cattedra di paesaggio era tenuta da Gabriele Samrgiassi, proveniente da una benestante famiglia reazionaria di Vasto in conflitto con la famiglia Palizzi, di idee carbonare. Probabilmente anche per questo, oltre che per invalicabili divergenze artistiche, Filippo abbandonò l’accademia qualche mese dopo la sua ammissione; i motivi di tale scelta furono esplicitati parecchi anni dopo, intorno al 1862, in un saggio polemico dal titolo Un artista fatto dall’Istituto di Belle Arti, scritto subito dopo aver abbandonato una commissione incaricata di riformare l’istituto.
Il Palizzi afferma:
L’Istituto ha uno statuto per insegnare l’arte, questo statuto è fondato sul principio inesorabile di non fare errori, vale a dire che, entrandovi il ragazzo, dovrà uscire un artista corretto. Questo principio, per quanto sembra saggio, è falsissimo, distruttore di ingegni e creatore di infinite mediocrità. Quello che è più rovinoso per l’arte e nocivo per l’artista è che l’istruzione degli istituti allontana l’artista dalla società e dai suoi tempi. L’Istituto serra dentro le pagine del suo organico gli allieve all’età di dodici anni: gli uomini a cui sono affidate quelle pagine devono malgrado loro unificare il modo d’insegnamento più o meno inesorabilmente alla scrupolosa spiegazione di esse: guai a chi vorrebbe uscirne, vi è il pericolo di essere ribelle e quindi escluso. L’allievo non deve fare altro che eseguire ciecamente ciò che si vuole da quello statuto, perciò non deve conoscere altro che quei precetti e quegli uomini fino a trentaquattro anni.
Filippo Palizzi abbandona l’Accademia, e inizia a frequentare lo studio del pittore abruzzese Giuseppe Bonolis, ma insoddisfatto intraprese uno studio personale sul ritrarre animali dal vero. Filippo si spostava nelle campagne di Posillipo e Cava dei Tirreni, dividendo il poco cibo con qualche pastorello del luogo in cambio di poter studiare un agnellino, un cane una mucca. Nel 1839 espose per la prima volta un quadro nell’esposizione biennale al Reale Museo Borbonico, uno Studio di animali, n. 152 del catalogo, che venne acquistato dalla Duchessa di Berry.
Il 25 ottobre 1842 chiamato dal principe Marosi partì per Galati per insegnare pittura al principino. Filippo scrisse al padre descrivendo così il viaggio :
E’ impossibile immaginare il contento che ho inteso vedere tante novità, città, campagne, isole, costumi, e tante altre cose delle quali ne ho ritratti i disegni.
Filippo dopo due anni torna a Napoli, e ritrova il fratello Giuseppe, il quale osteggiato e screditato da alcuni professori dell’Accademia, parte per Parigi, Filippo rimase molto scosso e amareggiato dalla scelta di Giuseppe, difatti si ritirò in casa rimanendo muto per vari giorni. Solo il conforto della fede, e i pensieri per l’avvenire, gli diedero lo stimolo per riprendere le sue abitudini artistiche e sociali. All’inizio degli anni cinquanta il successo di Filippo era cresciuto al punto di raggiungere l’America e la Russia. Fu allora che Francesco De Bourcard, editore svizzero innamorato di Napoli, ideò una raccolta di acqueforti tirate a torchio e colorate a mano che raffigurassero scene di vita popola napoletana, Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti. De Boucard si interessò della parte letteraria mentre il Filippo Palizzi si occupò di quella artistica. Si trattava di 49 tavole in tiratura limitatissima, solo 100 copie. Tuttavia Filippo dovette chiedere aiuto di altri artisti poiché era impensabile che potesse dipingere a mano ben 4900 tavole. Nel 1855 Filippo va a trovare il fratello Giuseppe in vista dell’Esposizione Universale a Parigi, qui Filippo incontra e conoscere molti artisti francesi, tra cui i celebri paesaggisti della scuola di Barbizon. Al ritorno dalla Francia il Palizzi visitò anche il Belgio e l’Olanda, riportando notevoli schizzi e appunti. Durante il ritorno in Italia visitò numerose città per la prima volta, tra cui Roma e Firenze. Nel Capoluogo toscano incontra Giovanni Fattori. Dopo l’Unità d’Italia Filippo Palizzi riscuote una fama di vero innovatore dell’arte Italiana, in questo periodo Filippo si rifiuta di esporre alla prima Esposizione Nazionale di Firenze del 1861, commentandola con una lettera all’amico Eleuterio Pagliano :
L’Esposizione è un caos di passato, presente, e avvenire. Di opere buone poche, di mediocri molte, di pessime moltissime.
Nel 1864 fondò insieme all’incisore siciliano Saro Cucinotto, il giornale L’arte moderna, dal sottotitolo Foglio da pubblicarsi finche non sciolga il Reale Istituto arti. Nel 1867 ottenne il passaporto, valido per un anno, per la Francia, e in occasione dell’Esposizione
Universale di Parigi, dove presentò ben sei dipinti, tra cui il celebre Dopo il diluvio, commissionato nel 1861 da Vittorio Emanuele II. Tra il 1870 e il 1871 muoiono i fratelli Nicola e Francesco Paolo, tale evento scosse molto il pittore, tanto da diventare solitario e scontroso, ma continuò a dipingere nel suo studio.
Nel 1878 Il ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis nomina Filippo alla presidenza del Real Istituto di Belle arti di Napoli, con lo scopo di riformarlo e di rendere i suoi metodi di insegnamento al passo con i tempi. Filippo si ritrovò ad affrontare molte difficoltà all’interno del Real Istituto, quali l’indisciplina degli alunni, la fiacchezza degli insegnanti, nel 1881 Filippo si dimette dal Real Istituto, il 24 ottobre dello stesso anno ottenne la direzione del Museo Artistico Industriale di Napoli e diede inizio all’officina di ceramica. Gli incarichi e le onorificenze continuavano ad aggiungersi ma il Palizzi non trascurava mai la pittura. Filippo continuava a scrivere al fratello Giuseppe residente ancora a Parigi, cercando di convincerlo a tornare in patria:
…. Ho ricevuto la tua lettera del 16 dicembre corrente. Essa mi ha impensierito sulla tua posizione, la quale, leggo, diventa più difficile. La vecchiaia è venuta, non ti hai potuto fare una posizione, hai lavorato molto e speri ancora nel tuo lavoro. Non so cosa speri più da codesto Paese, che colle continue illusioni ti ha consumato la vita. Io da tempo ti ho avvertito di prendere risoluzione, ma tu hai sperato. Ormai a 70 anni v’è più nulla da sperare in questo modo. Il presente ci pesa e ci schiaccia, ci sono due generazioni dopo di noi e sono già vecchi e vivono tormentati e senza l’ideale di un avvenire come il nostro.. non ha altro da fare che raccogliere quello che puoi, e venire qui, dimenticando tutto il passato, vivere tranquillo e rassegnato, staremo insieme e ci divideremo il pane, penso che questa sia il solo modo di uscire da uno stato da dove non si può tornare indietro.
Filippo Palizzi non mancò di interessarsi agli avvenimenti risorgimentali intorno al 1848, come manifestato dai dipinti “La sera del 18 febbraio 1848 a Napoli “ e “Le Barricate del 15 maggio 1848 ”.
Filippo scrive al fratello Giuseppe descrivendo i moti palermitani :
Caro Peppino, è impossibile descrivere i fatti d’armi dei palermitani in questa rivoluzione, la nostra storia, sarà arricchita da una pagina che forse supera tutte le altre. Basta dirti l’unità, l’ordine, il coraggio, la generosità che hanno mostrato i siciliani, dall’ultimo cittadino fino ai signori. Le prime notizie di Palermo misero in agitazione tutto il regno rinvigorirono gli animi. Il popolo crebbe in un numero spaventevole, e al Largo delle Pigne si avviarono verso Toledo e Palazzo Reale. E che vedevi! Tutti i balconi pieni di signore e signorine che sventolavano i fazzoletti e bandierine tricolori; il popolo che gridava viva Pio IX ! Viva l’Italia ! Palermo, i martiri e la viva la Costituzione” I visi tutti erano accesi dall’ardente fiamma della libertà; tutti avevano le lacrime agli occhi, leggevi nei loro visi; O liberi o morire.
Il fratello Giuseppe rimase a Parigi e mori nel gennaio 1888.
Nel 1861 Filippo Palizzi realizzò un ritratto di Garibaldi a cavallo, il quale fu riprodotto in eligrafia e diffuso in migliaia di copie, contribuendo a rendere popolare tra il popolo “ Eroe dei due mondi ”. Dallo stesso sentimento patriottico sono ispirati Gruppi di Garibaldini prima della battaglia del Volturno, il Principe Amedeo all’Assalto della Cavalchina, Il Principe Amedeo ferito condotto all’ambulanza e La carica dei Cavalleggeri d’Allessandria. Fu tra i primissimi pittori a interessarsi di fotografia e a praticarla sulla base di conoscenze tecniche, si vede dalle sue lettere che condivise questa pratica con tutti i suoi fratelli. Dal racconto di Domenico Morelli apprendiamo che da giovane Filippo era desideroso di studiare l’anatomia ma, non avendo i mezzi per comprare un trattato, ne prese uno in prestito uno per pochi giorni e decise di copiarlo, ma non si limitò alle sole immagini, copiò esattamente anche il testo, imitando alla perfezione perfino i caratteri di stampa.
Ottenne la direzione del Museo Artistico Industriale di Napoli e diede inizio all’officina di ceramica. Gli incarichi e le onorificenze continuavano ad aggiungersi ma il Palizzi non trascurava mai la pittura. Filippo continuava a scrivere al fratello Giuseppe residente ancora a Parigi, cercando di convincerlo a tornare in patria:
…. Ho ricevuto la tua lettera del 16 dicembre corrente. Essa mi ha impensierito sulla tua posizione, la quale, leggo, diventa più difficile. La vecchiaia è venuta, non ti hai potuto fare una posizione, hai lavorato molto e speri ancora nel tuo lavoro. Non so cosa speri più da codesto Paese, che colle continue illusioni ti ha consumato la vita. Io da tempo ti ho avvertito di prendere risoluzione, ma tu hai sperato. Ormai a 70 anni v’è più nulla da sperare in questo modo. Il presente ci pesa e ci schiaccia, ci sono due generazioni dopo di noi e sono già vecchi e vivono tormentati e senza l’ideale di un avvenire come il nostro.. non ha altro da fare che raccogliere quello che puoi, e venire qui, dimenticando tutto il passato, vivere tranquillo e rassegnato, staremo insieme e ci divideremo il pane, penso che questa sia il solo modo di uscire da uno stato da dove non si può tornare indietro.
Filippo Palizzi non mancò di interessarsi agli avvenimenti risorgimentali intorno al 1848, come manifestato dai dipinti “La sera del 18 febbraio 1848 a Napoli “ e “Le Barricate del 15 maggio 1848 ”.
Filippo scrive al fratello Giuseppe descrivendo i moti palermitani :
Caro Peppino, è impossibile descrivere i fatti d’armi dei palermitani in questa rivoluzione, la nostra storia, sarà arricchita da una pagina che forse supera tutte le altre. Basta dirti l’unità, l’ordine, il coraggio, la generosità che hanno mostrato i siciliani, dall’ultimo cittadino fino ai signori. Le prime notizie di Palermo misero in agitazione tutto il regno rinvigorirono gli animi. Il popolo crebbe in un numero spaventevole, e al Largo delle Pigne si avviarono verso Toledo e Palazzo Reale. E che vedevi! Tutti i balconi pieni di signore e signorine che sventolavano i fazzoletti e bandierine tricolori; il popolo che gridava viva Pio IX ! Viva l’Italia ! Palermo, i martiri e la viva la Costituzione” I visi tutti erano accesi dall’ardente fiamma della libertà; tutti avevano le lacrime agli occhi, leggevi nei loro visi; O liberi o morire.
Il fratello Giuseppe rimase a Parigi e mori nel gennaio 1888.
Bibliografia
Eduardo Alamaro, La Querelle Palizzi / Tesorone: sull’idealmente nobile e praticamente utile nella produzione delle scuole-officine del Museo Artistico Industriale di Napoli, LAF –
Faenza 1988 ( estratti dalla rivista “ Faenza”, bollettino del MIC di Faenza, A. LXX (1984)
NN. 1-2-3-4-5-6; A. LXXI (1985) NN. 1-3
Eduardo Alamaro, Barba Ceramica: Filippo Palizzi e la scuola/officina di ceramica del Museo Artistico Industriale di Napoli ( 1880 -1899) in “K” (Keramikos), rivista bimestrale, agosto 1988, n. 5, Alberto Greco Editore
Guglielmo Aurini, Filippo Palizzi, Teramo, Rivista Abruzzese, 1900 estratto dalla Rivista Abruzzesse di Scienze, Lettere ed Arti, Anno 15 (1900), Fasc. 1 e 2, gennaio – febbraio.