Cesare Tacchi

 Roma 1940 ,  -  2014

 

Partecipa con Giosetta Fioroni, Tano Festa, Franco Angeli, Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, Renato Mambor, Jannis Kounellis, Mario Schifano e Umberto Bignardi al movimento artistico Scuola di piazza del Popolo, nato negli anni sessanta, a Roma, che si riunivano al Caffè Rosati a Piazza del Popolo o presso la Galleria della Tartaruga di Plinio de Martiis.

 

Nei suoi quadri riproduce simboli e oggetti del paesaggio urbano contemporaneo, scritte pubblicitarie, automobili, tram, taxi, ascensori: non per contestare il sistema, come avveniva nella Pop-Art, ma per decodificare la realtà nell'irrealtà dell'opera, sprigionando l'essenza mistica delle cose. Nel 1964 inizia ad utilizzare, come supporto per le immagini, tappezzerie, rasi e stoffe da arredamento, imbottite e trapuntate, sulle quali si modellava una pittura che si richiamava con esplicita eleganza ironica a temi “floreali” ripresi da Botticelli e Pisanello.

 

“…la sua unica performance "Cancellazione d'artista", eseguita nel 1968 per "Il Teatro delle Mostre", spicca come uno spartiacque significativo nella vicenda artistica e umana di Cesare Tacchi... Quest’atto simbolico sarà il preludio di un lungo decennio di negazione individuale della pittura e, drammaticamente, anche della propria vita.” (Miriam Mirolla, 2006).

 

Intorno al '70 realizza una serie di quadri-oggetto in cui la cornice vuota assume il ruolo di protagonista. 

Tacchi mette a fuoco la sua ricerca che lo accompagna per più di un decennio: lavorare sul dettaglio, visto in close up, per raccontare una società dove i mass media sono sempre più presenti fino a dominare la cultura visiva. Tacchi guarda l’Italia con occhio ironico e leggero, ma sempre interessato ai nuovi stilemi dell’immagine, non per celebrarne le regole ma prendendo atto della sua forza intrinseca. Così le macchine da corsa, le utilitarie e perfino i tram raccontano l’interesse verso una pittura urbana, giocata sul rapporto tra dentro e fuori, come in Circolare Rossa (1963), che trasferisce in chiave iconica le suggestioni dei capolavori futuristi di Giacomo Balla. O, ancora di più, in Piazza Navona dall’automobile (1964), che sembra riprendere le suggestioni di certe sovrapposizioni di Francis Picabia. Tacchi studia, conosce la storia dell’arte e legge i testi di Foucault e McLuhan, ed è al corrente di quanto accade nel mondo dell’avanguardia. E la mostra rende ragione della complessità del suo pensiero, espresso in maniera esemplare dai quadri a rilievo, che occupano due sale. Tacchi ci lavora per soli tre anni e ne realizza circa settanta: “Sono per l’artista un importante approdo e costituiscono la serie più nota dei suoi lavori”, spiega Daniela Lancioni, sottolineando il fil rouge che attraversa questa fase della ricerca di Tacchi, annunciata dal dialogo tra Poltrona Rossa e Poltrona Gialla, entrambe del 1964. E qui la mostra prende il volo, con una serie di opere che documentano le icone di una società del benessere, che aveva trovato il suo manifesto in un’opera come Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? (1956)